Identità liquida: se la sessualità perde i contorni – Prolife News

Identità sessuale

«In America almeno 203 campus consentono agli studenti transgender di ottenere una stanza del proprio genere elettivo (…) Quarantanove danno il permesso di cambiare il proprio nome e il proprio sesso nel curriculum universitario, 57 offrono una copertura finanziaria per la terapia ormonale». Ad affermarlo è il New York Times, su un articolo dello scorso gennaio intitolato “Generation LGBTQIA”. Una sigla che ai più risulterà sconosciuta. Molti di voi probabilmente avranno già sentito parlare di LGBT, acronimo che rappresenta l’universo di lesbiche, gay, bisessuali, transgender. Ma pochi, probabilmente, conoscono il significato delle altre tre lettere aggiunte a questa nuova fantomatica sigla: la Q sta per queer (travestiti), la I per intersex (persone con anatomia sia maschile che femminile) e la A per asexual (persona senza alcuna attrazione sessuale).  C’è da chiedersi quante altre lettere verranno aggiunte in futuro, dato che la fantasia umana non ha limiti. La Commissione australiana dei diritti umani, per esempio, ha recentemente definito ben ventitré generi sessuali diversi; ma ve li risparmiamo per non abusare della vostra pazienza.

Le rivendicazioni dei movimenti LGBT, i matrimoni o comunque il riconoscimenti delle unioni tra gli omosessuali, la moda unisex, l’abitudine di giocare sull’ambiguità sessuale da parte di molte star internazionali della musica, una certa tendenza crescente nel trattare questi temi da parte del cinema contemporaneo; sono tutte manifestazioni dirette di un fenomeno che agisce dietro le quinte, quasi di nascosto, il più delle volte in maniera poco esplicita: stiamo parlando dell’ideologia del gender.  Affrontare questo argomento, oggi, non è per niente facile. Da un lato molti non sanno neanche di cosa si tratta, mentre le sue conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Dall’altro, quei pochi che ne parlano vengono spesso sottoposti ad una vera e propria aggressione mediatica, quando non addirittura fisica, allo scopo di farli tacere.  Eppure è necessario, soprattutto per chi si occupa di educazione, rendersi conto di come si sta lentamente verificando quella che qualcuno ha definito una vera e propria rivoluzione antropologica, uno stravolgimento che sta mettendo in discussione i valori su cui per secoli, anzi per millenni, si è fondata l’umanità.  I primi destinatari di questa rivoluzione antropologica sono i giovani, i quali stanno crescendo in un clima morale che, se volessimo trovare un esempio grafico, potremmo identificare nella nebbia: una totale assenza di contorni, di punti di riferimento, di limiti chiari e individuabili. E la nebbia è ciò che meglio di qualsiasi altra idea rappresenta oggi l’ideologia del gender.

Il gender afferma che non esiste una natura umana perché l’essere umano sarebbe unicamente il risultato della cultura. Questa idea si radicalizza nella visione della sessualità umana: per il gender l’essere maschio o femmina non è determinato dal corpo sessuato con cui ognuno di noi è nato ma da una scelta personale, condizionata anche dalla cultura della società in cui si vive. “Donna non si nasce, lo si diventa“, sosteneva qualche tempo fa Simone De Beavoir nel suo libro “Il secondo sesso”. Uomo o donna non si nasce, insomma, ma lo si diventa per scelta, ripete oggi il gender. Michel Onfray, filosofo francese contemporaneo, afferma che sarebbe la propria volontà sessuale che costruisce l’io; è ciò che io voglio, agendo in un determinato modo che mi costituisce come uomo o come donna. Con buona pace della natura umana.  Ma non finisce qui. La scelta della propria identità di genere, potrebbe anche essere non irreversibile. Sì, perché la nuova frontiera del gender si chiama “gender-queer” e rivendica sia la libertà di non identificarsi con alcun genere ma anche quella di identificarsi con più generi contemporaneamente o successivamente nel tempo: oggi maschio, domani femmina, poi bisex, poi di nuovo maschio…

Le implicazioni di un’ideologia come quella del gender sul piano sociale e, di conseguenza, su quello educativo sono molteplici. Tanto per cominciare, togliere importanza alla differenza sessuale nella coppia, nella famiglia, nell’educazione dei figli, nella procreazione, conduce inevitabilmente alla fine della paternità, della maternità, della filiazione: tutto diventa indifferenziato e viene posto allo stesso livello valoriale e funzionale.  A livello giuridico i promotori del gender, che agiscono influenzando direttamente l’ONU – di riferimenti al gender sono pieni alcuni documenti delle Conferenze internazionali del Cairo nel 1994 e soprattutto di Pechino nel 1995 – hanno l’obiettivo di riscrivere le leggi sui diritti umani. Per fare ciò, la strategia più efficace è quella di agire sul linguaggio, per rendere le leggi funzionali alla promozione dell’agenda di genere, i cui punti principali sono la separazione del sesso biologico dal genere come ruolo socialmente costruito, l’ampliamento dei diritti umani ai cosiddetti diritti sessuali e riproduttivi (aborto e contraccezione), l’eliminazione del disturbo dell’identità di genere dall’elenco dei disturbi psicologici, il favorire il ricorso alla chirurgia per il cambiamento di sesso.  Quanto questa strategia sia già diffusa è sotto gli occhi di tutti; in diversi Paesi sono stati modificati gli ordinamenti. In Spagna sono stati introdotti, per esempio, i termini di progenitore 1 e progenitore 2 al posto di padre e madre. Nel Quebec si parla invece di “fornitore di materiale genetico”. In Argentina, quando nel 2010 è stata approvata la legge sul matrimonio omosessuale, è stato usato il termine “contraenti” al posto di “marito e moglie”. Il gender ha anche una chiara strategia educativa, che ha l’obiettivo di arrivare a fare in modo che le idee vengano percepite come normali e digerite lentamente dalla gente comune. È evidente che l’obiettivo principale è quello di educare a questa ideologia, fin dall’infanzia, le giovani generazioni. Non a caso, anche nei programmi di educazione sessuale che si tengono nelle scuole, manca qualsiasi riferimento alla dimensione morale della sessualità umana: nessun riferimento alle virtù o ai valori spirituali, ma anche deresponsabilizzazione dei genitori. Il concetto di male morale si limita unicamente alla violenza sessuale di un individuo nei confronti di un altro.  A questo punto ci chiediamo quale possa essere l’approccio educativo dei genitori e degli educatori in genere, nei confronti di un’ideologia che probabilmente rappresenta uno dei sintomi più evidenti della regressione antropologica che caratterizza il mondo contemporaneo occidentale.  Data la posta in gioco e la delicatezza del tema, ci sembra giusto dedicare a questo aspetto un ampio spazio nel prossimo numero di Fogli.

Fonte: La Sfida Educativa

Fonte: Identità liquida: se la sessualità perde i contorni – Prolife News.

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