«Ignorato» per 12 anni esplode il jihad africano | Mondo | www.avvenire.it

​L’Africa subsahariana come terreno del jihad internazionale e del traffico di armi e droga? Il campanello d’allarme non ha certo iniziato a squillare solo l’anno scorso, quando i gruppi islamici si sono impadroniti delle sorti dell’Azawad, il neoproclamato Stato dei Tuareg nel Nord del Mali. Le avvisaglie di un’infiltazione di jihadisti nell’immenso arco di deserto che collega le coste atlantiche al Corno d’Africa – quello che gli analisti chiamano l’«arco jihadista» – si hanno da circa 12 anni. Da quando, nel maggio 2001, e prima degli attentati dell’11 settembre, lo yemenita Imad Alwan era sbarcato in Algeria al termine di un lungo periplo che lo aveva portato prima a Mogadiscio, poi a Khartum e Niamey. Osama Benladen lo aveva infatti incaricato di creare una zona «di operazioni» nelle regioni settentrionali del Mali e del Niger, in grado di offrire un rifugio sicuro ai capi in fuga di al-Qaeda. Il progetto viene ripreso da un gruppo del Gspc (gruppo salafita “per la predicazione e il combattimento”) algerino capeggiato da Mokhtar Belmokhtar, che si ritaglia un santuario a Kidal, nel Nord del Mali, e fonda il suo “impero” sul traffico di ogni sorta di merci, dalle sigarette alle auto rubate, alla droga all’immigrazione clandestina.

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