Il cardinal Van Thuan, martire della speranza. Il racconto di chi lo ha conosciuto

“Durante tutto il tempo che ho conosciuto il cardinal van Thuan, ho avuto la percezione di trovarmi davanti a un santo. La sua semplicità di vita, la sua umiltà, persino il suo umorismo, tutto mi faceva pensare di avere a che fare con un santo”. Parola di Silvio Daneo, uno dei testimoni della causa diocesana di beatificazione del cardinal François Nugyen Van Thuan. Il prossimo 5 luglio, questa causa terminerà la sua fase diocesana. E si passerà alla fase romana, con la scrittura della positio, una specie di “tesi di santità”, come l’ha definita Waldery Hilgeman, postulatore della causa di beatificazione.

In fondo la tesi di santità è già data dalla vita del cardinal Van Thuan (1928-2002). Che non è martire solo perché non è stato ucciso in nome della sua fede. Ma la cui vita è stata tutta una testimonianza fervente di cristianità. Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha sottolineato che van Thuan “pur prigioniero, in condizioni di povertà e di ristrettezze di libertà, non si è perso d’animo, non si è abbandonato all’odio nei confronti dei suoi carcerieri… Mentre veniva ‘rieducato’ in maniera forzata egli educava con un altro metodo i suoi nemici. Le sue guardie divennero suoi scolari”.

Il suo abbracciare la croce era testimoniato dalla croce che continuava a portare, anche una volta inviato a Roma prima come vicepresidente e poi come presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.  Come riuscì a “fabbricare quella croce è cosa nota: Van Thuan riuscì a convincere un agente a fargli intagliare una piccola croce di legno, che nascondeva nel sapone, mentre un altro gli procurò un pezzo di filo elettrico con cui costruì una catenella, per appendere al collo la croce. Una croce che, rivestita di metallo, ha sempre penzolato al suo collo, anche dopo la nomina a cardinale.

Questi, però, sono aneddoti noti. Mentre c’è tutto un van Thuan privato che non si conosce. E la grandezza della persona è data anche dalle piccole cose.

Come quello che Silvio Daneo definisce “l’aneddoto della giacca”. “Van Thuan era diventato cardinale, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace – ricorda – ma continuava a portare una vecchia giacca, completamente lisa, consumata. Allora, con alcuni amici, pensammo di regalargliene una per Natale. Glielo dissi, un giorno. ‘Eminenza, sa, noi avremmo pensato a un regalo…’ E  lui: ‘Ah bene, e di cosa si tratta’. E io: ‘Beh, vede, la sua giacca è ormai vecchia, pensavamo di comprargliene una nuova’ E lui: ‘Sì, bene, molto bene… ma, vede, due giorni fa, questo mio confratello cardinale ha smesso una giacca dopo appena due anni… è praticamente nuova e mi sta a pennello… quindi, userò questa giacca! Ma i soldi che volevate spendere, li potete dare ai poveri’ “

Dai racconti di Silvio Daneo viene fuori un ritratto forse inedito del cardinal van Thuan. Se il coraggio e la dedizione che aveva avuto durante la prigionia danno quasi la sensazione di trovarsi di fronte a un eroe, la verità è che l’eroismo della vita di van Thuan è tutta data dal suo essere semplicemente vero e dal suo amare tutti allo stesso modo. Anche i carcerieri, che divennero suoi studenti.

Van Thuan era “sempre sorridente, ed era uno straordinario imitatore. Quando imitava la voce di Giovanni Paolo II, si doveva controllare che il Papa non fosse nei paraggi per essere sicuri…” E raccontava “le cose importanti che gli succedevano come fossero successe ad un altro, con una semplicità disarmante. Ogni tanto mi invitava a pranzo. A volte cucinava lui, che aveva scelto di stare in una casa nel Palazzo di San Callisto dove non voleva stare nessuno dei vescovi né dei cardinali, perché ricavata da due diverse case collegate attraverso un dislivello. Altre volte, mi invitava a pranzo presso un ristorante cinese nei pressi di San Callisto. E fu lì che, mentre mangiavamo una zuppa, mi disse che Giovanni Paolo II gli aveva chiesto di predicare gli esercizi spirituali di Quaresima alla Curia. E lo disse con una semplicità e una naturalezza disarmante”.

Racconta ancora Daneo: “Da cardinale, van Thuan non aveva un auto, e nemmeno un’autista. Ma amava trascorrere dei periodi di riposo presso una casa di suore a Santa Marinella. Quando doveva andare là, mi chiamava, e si informava se fossi libero. Io lo andavo a prendere sulla mia auto che di certo non era un’auto cardinalizia. E van Thuan in genere dormiva un poco, e poi cantava, scherzava… una volta arrivati, lui sapeva che non avrei mai accettato un compenso per il passaggio. Però una volta gli avevo detto che facevo volontariato presso i carcerati di Rebibbia. E mi dava sempre una busta, anche con cifre consistenti, dicendo: ‘Questo è per le sigarette dei tuoi carcerati’”.

Sono semplici storie di vita, eppure significative. Silvio Daneo ne ha moltissimi di aneddoti da raccontare: ha conosciuto il cardinal van Thuan quando era ancora giovane vescovo a Nha Trang, ha perso i contatti solo durante la prigionia, e poi gli è stato vicino fino alla morte.

La sua testimonianza è solo una delle tante testimonianze che sono andate a riempire le 1650 pagine del tribunale diocesano composte in larghissima parte da testimonianze. A queste, vanno aggiunte 10.974 pagine di scritti di Van Thuan, in larghissima parte inediti.

Per ricordare il suo passato presidente, uno degli uomini che forse più di tutti ha vissuto la Dottrina Sociale sulla sua pelle, il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace organizza due giorni di celebrazioni. Venerdì, oltre alla cerimonia di chiusura del processo di beatificazione, è un programma una celebrazione eucaristica nella Basilica di Sant’Antonio di Padova a Roma. E dopo, all’Auditorium Antonianum verrà presentata la traduzione italiana delle sei Lettere pastorali del cardinale Van Thuân, scritte tra il 1968 e il 1973, pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana e curata dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.

Il 6 luglio invece è prevista l’udienza con Papa Francesco. E chissà come questi definirà il cardinal van Thuan. Giovanni Paolo II lo definì “un testimone della croce”, Benedetto XVI lo chiamò “un uomo di speranza”.

(nella foto: Silvio Daneo con il card. Van Thuan)

Fonte: Il cardinal Van Thuan, martire della speranza. Il racconto di chi lo ha conosciuto.

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