Il culto divino nel cristianesimo e nelle altre religioni « Libertà e Persona

Il presente articolo è uscito, parzialmente tagliato, sulla rivista “Liturgia Culmen et Fons”. Lo presentiamo qui nella sua versione integrale.

Sappiamo quante difficoltà e quanti equivoci esistono circa la questione del rapporto del cristianesimo con le altre religioni, venuta particolarmente alla luce a seguito degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, in special modo nella “Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane” (Nostra aetate).

Non era mai accaduto che il Magistero solenne della Chiesa, qual è quello che proviene da un Concilio ecumenico, si esprimesse in tono così positivo sulle religioni non-cristiane, mentre sin dalle sue origini la Chiesa ha sempre usato toni severi verso le altre religioni, non escluso l’ebraismo, del resto facendo capo agli stessi testi scritturistici, dove troviamo per esempio le seguenti parole di S.Paolo: “i sacrifici dei pagani sotto fatti a demòni” (I Cor 10,20).

Il Concilio ovviamente non smentisce le precedenti condanne o disapprovazioni e tuttavia, secondo l’impostazione generale del Concilio stesso, ci offre dei punti di contatto fra cristianesimo e religioni, soprattutto la religione ebraica, per la quale ha parole di particolare stima. “La Chiesa cattolica – si dice – nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni”, anche se ribadisce che solo in Cristo “gli uomini trovano la pienezza della vita religiosa” e solo in Lui “Dio ha riconciliato a sé tutte le cose” (n.2).

Questa visione ampia e magnanima del Concilio suppone evidentemente che l’uomo come tale, a qualunque tempo o cultura o popolo appartenga, senta l’esigenza, in varie forme, magari anche difettose e superstiziose o magiche, di render culto alla divinità, anche se non ne ha ben chiaro il concetto, praticando o il politeismo o l’idolatria o culti cosmici, satanici, ctonici[1], animisti, totemistici, sciamanistici[2] o panteistici.

Esiste dunque una forma di religione, come espressione naturale seppur diversificata della coscienza umana in tutti i popoli e in tutti i tempi, e che si è convenuto di chiamare “religione naturale”[3], frutto del naturale senso del sacro e della ragion pratica la quale, sulla base della consapevolezza razionale dell’esistenza di Dio o comunque della divinità, sente il dovere di render loro culto in appositi riti o cerimonie – ecco la liturgia -, offrendo voti, doni, sacrifici e preghiere al fine di rendersi propizia la divinità, di purificarsi o di espiare le proprie colpe, di ottenere salvezza, luce, benefìci, potere, felicità, grazie, favori e misericordia.

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