Il “gap cattolico” in libreria. La religione sugli scaffali tra New Age e… | intelligonews

Di Inti Merino Rimini e Riccardo Gotti Tedeschi

Viviamo talvolta situazioni apparentemente poco rilevanti, che in realtà ci mostrano dei segnali, utili a nostro parere per comprendere alcuni fenomeni di questi tempi.

In una nota libreria milanese, su specifica richiesta di un libro di teologia, abbiamo avuto indicazione da parte di un commesso che il libro era rinvenibile nella sezione “religione-new age” accanto alla sezione “fitness”.

Sorprendente?

Un libro di religione accanto a consigli per migliorare le prestazioni degli adduttori, e a ridosso della biografia di Sai Baba. Ecco cosa è diventata la religione nella globalizzazione (così come è gestita oggi): un’etica del comportamento, un elenco di precetti e indicazioni più o meno obsolete, classificabile alla stregua di un manuale, o di una pratica esoterica.

Una religione “fai-da-te”.

Se da una parte colpisce la nutrita presenza nelle librerie di ampie sezioni dedicate al “sacro”, d’altra parte sfugge del tutto la forma che il mondo attuale dà a questo sentimento diffuso. La globalizzazione richiede un sentimento religioso soft, flessibile, che muta con i tempi e non ostacola il processo di omogeneizzazione dei mercati e delle idee. Ecco spiegato il perché sia piuttosto comune il fastidio verso tutti gli aspetti di “pratica” della fede, che suscitano – nei più – delle risate di compatimento piuttosto che dei motivi di discussione, ricerca e approfondimento, così negando gli aspetti istituzionali che necessariamente questa comporta, visti come inutili e pericolosi (se non, addirittura, dannosi).

Anche per questo la pratica è più agevolmente vissuta in chiave individualista, come se questo “afflato religioso” ce lo si sia dati da soli, o ce lo si possa dare da soli a proprio piacimento, alla stregua di un’ora di ginnastica…

Se dunque la globalizzazione ritiene scomode le verità assolute, resta da chiederci quale ruolo le religioni possano oggi rivestire per le persone. In un’epoca dove l’economia viene teorizzata (ed insegnata in quasi tutte le Università, con pochissime commoventi eccezioni) come una materia nella quale l’uomo deve soddisfare e massimizzare in modo del tutto razionale la propria utilità, ecco che tutto appare più chiaro: la religione assurge la forma di un “mezzo”, acquistabile e consumabile, di “benessere”, al pari del “pilates” e dello “spinbike”.

Tuttavia l’operazione di annacquamento è in atto da tempo: ogni qualvolta si difendono valori non negoziabili sul terreno della logica, della naturalitas, della ragione, gli oppositori (anche e soprattutto tra i cattolici, ebbene sì!) contrattaccano muovendo critiche sul terreno della confessionalità, della morale, della religione (magari accusando di “integralismo”, o di rigidità…), così relegando tematiche universali nella categoria di questioni strettamente connesse alla religione e non invece culturali. Con il rischio, certamente non aprioristico, di rafforzare la dimensione nichilistica ormai ampiamente diffusa, per cui poco importa formarsi, studiare, impegnarsi con passione ed interrogarsi su un sistema di valori universale, basta che ci sia l’immediatamente fruibile, il feticcio della merce e del consumo viene ridotto ulteriormente ad ornamento estetico e a moda (chiaramente quella del momento).

Detto questo, è lecito chiedersi a questo punto, perché in diverse occasioni, ogni qualvolta determinati valori sono stati messi in discussione o a repentaglio, a prendere la parte dei cattolici siano stati degli intellettuali lontani dalla fede (ivi inclusi i cd. atei devoti)? Essi hanno compreso appieno l’urgenza di tutelare dei principi che non sono solo quelli dei cattolici, ma riguardano una cultura occidentale che indiscutibilmente si identifica con questi stessi valori e principi. E facendo così hanno colmato un gap che noi cattolici abbiamo trascurato del tutto. Questi intellettuali non credenti hanno il merito di aver riconosciuto l’universalità di alcuni principi e soprattutto la necessità di un’autorità morale forte, “autorevole” appunto. E non si venga a dire che l’hanno fatto per fini strumentali; se anche fosse, per noi hanno perseguito fini buoni, e ciò nobilita le intenzioni oltre che le azioni.

Al di là di dove i libri siano collocati in libreria, comunque, ci piace immaginare – e sperare – che i libri si comprino e si leggano, prima di tutto per formarsi.

Il modo migliore per imparare a gestire gli strumenti che la globalizzazione ci mette a disposizione.

Fonte: Il “gap cattolico” in libreria. La religione sugli scaffali tra New Age e… | intelligonews.

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