Il Papa in Albania, lo Stato che voleva “uccidere” Dio | La Nuova Bussola Quotidiana

di Massimo Introvigne  21-09-2014

Papa Francesco visita l’Albania a ventun anni dalla visita di san Giovanni Paolo II (1920-2005), che si recò nel Paese balcanico il 25 aprile 1993. In quell’occasione Papa Wojtyla celebrò la Messa nella cattedrale di Scutari, che il regime comunista aveva trasformato in un palasport, dove consacrò quattro vescovi, e in piazza Scanderberg a Tirana denunciò in termini fortissimi la persecuzione antireligiosa del regime di Enver Hoxha (1908-1985). Quel regime, disse allora il Pontefice, giocò la sua stessa esistenza su «una dura lotta contro la religione, in linea con un intoccabile dogma del programma sociale e politico propugnato dall’ideologia comunista. Sembrava quasi che il mezzo più necessario per realizzare l’auspicato e sbandierato “paradiso sulla terra” fosse quello di privare l’uomo della forza che egli attinge da Cristo, forza decisamente condannata come debolezza indegna della persona. In realtà, più che indegna, era piuttosto scomoda, come i fatti hanno poi dimostrato: l’individuo umano, infatti, forte dell’energia che gli proviene dalla fede, non permette facilmente di essere spinto nell’anonimato collettivo».

 

Papa Francesco ha affermato che si reca in Albania per due ragioni: commemorare i martiri e valorizzare le buone relazioni che esistono in Albania tra musulmani e cristiani. Evidentemente entrambi gli scopi vanno al di là del pure importante caso albanese. Già in Corea Francesco ha proposto una riflessione sul martirio come presenza costitutiva e costante nella comunità cristiana, che pone a tutti la domanda se esista qualcosa per cui saremmo disposti a morire. In Albania, poi, migliaia di sacerdoti e laici furono uccisi – le cifre precise ancora mancano – non in nome di un’altra religione, ma dell’ateismo di Stato comunista. Hoxha proclamò l’Albania il primo Stato completamente ateo del mondo, distrusse almeno duemila chiese cristiane, fece impiccare anche alcuni dei principali leader musulmani, mise fuori legge anche la semplice preghiera e pubblicò perfino una lista dei nomi cui i genitori potevano chiamare i bambini da cui erano rigorosamente esclusi tutti quelli che contenevano riferimenti ai santi o alla religione. Particolarmente organizzato e feroce era l’indottrinamento all’ateismo nelle scuole.

 

Il Papa ha insistito molte volte sul fatto che celebrare i martiri e le vittime delle ideologie assassine del secolo XX non è una semplice rievocazione storica. Oggi, il Pontefice lo ricorda spesso, ci sono più martiri che nei primi secoli dell’era cristiana. Le ideologie cambiano ma la strage di cristiani continua. Così come continua l’educazione ideologica nelle scuole. In un discorso dell’11 aprile 2014 all’Ufficio internazionale cattolico per l’infanzia in cui ha fatto riferimento all’ideologia del gender, Papa Francesco ha affermato che «gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse». Chi oggi manipola l’educazione non ha necessariamente il volto da assassino di Enver Hoxha. Ma si tratta comunque di «orrori».

 

La manipolazione educativa comunista in Albania diede i suoi frutti. Sì, grazie anche al memorabile viaggio di san Giovanni Paolo II, che molti albanesi ricordano come un momento fondativo della loro nazione ricostruita dopo gli orrori del comunismo, oggi in Albania c’è una piccola rinascita religiosa. Ma gli atei sono il venti per cento, tre volte più numerosi che in Italia, e quasi quattro quinti della popolazione non ha alcuna pratica religiosa. In teoria i musulmani sono il 58% e i cristiani il 17%, ma secondo alcune ricerche tre quarti dei musulmani non rispettano i precetti dell’islam, non frequentano le moschee e pregano molto di rado. Non si deve credere che le persecuzioni e le manipolazioni educative generino solo la resistenza eroica – e tanto gradita a Dio – dei martiri. Come il Papa ricorda spesso, ci sono anche le donne e gli uomini comuni, molti dei quali – se praticare la religione diventa rischioso o difficile – la abbandonano e non vi ritorneranno neppure alla fine della persecuzione.

 

L’islam albanese aveva peraltro sempre avuto caratteristiche particolari. A grande maggioranza sunnita, era però dominato da confraternite sufi che avevano incorporato elementi sciiti e anche altri non islamici. Prima del comunismo il venti per cento degli albanesi apparteneva alla confraternita dei Bektashi, sulla cui natura gli specialisti discutono ancora oggi: confraternita sunnita, sciita o parte di una costellazione di religioni «iper-sciite», di cui fanno parte anche gli alauiti siriani, che introducendo elementi esoterici rischiamo perfino di uscire dall’islam. Guardata con simpatia da occidentali – specialmente, come ha mostrato lo specialista francese Thierry Zarcone, da ambienti massonici, che nella sua struttura iniziatica vedevano una sorta di massoneria islamica – la confraternita dei Bektashi rappresentava un islam debole, poco attrezzato per resistere alla virulenta persecuzione di Hoxha, che ne fece impiccare i più venerati dirigenti. Nove decimi dei Bektashi furono dispersi o uccisi dal regime. Alcuni riuscirono a rifugiarsi all’estero – oggi esiste una comunità Bektashi negli Stati Uniti – ma sembra che oggi la confraternita riunisca solo il due per cento della popolazione albanese, anche se si tratta di statistiche fondate su un censimento che gli stessi Bektashi contestano come poco accurato.

 

L’islam albanese – nelle sue varie declinazioni – ha sempre cercato la convivenza pacifica con i cristiani, a loro volta in maggioranza cattolici ma con una significativa minoranza ortodossa. Un anno prima che il califfato sunnita fosse abolito in Turchia nel 1924, si riunì a Tirana nel 1923 un congresso nazionale di musulmani dove tutte le componenti, sunniti compresi, decisero a grande maggioranza di non riconoscere più il califfato, abolire l’obbligo del velo per le donne, vietare la poligamia e sostituire la preghiera in piedi alla forma islamica tradizionale. Queste riforme non erano davvero rivoluzionarie ma consacravano quanto nella pratica si andava già affermando da decenni.

 

Un islam cauto e a suo modo esile, dunque: poco preparato ad affrontare la peggiore persecuzione antireligiosa della storia moderna, ma attrezzato per il dialogo con i cristiani e anche per resistere alle sirene del fondamentalismo e del terrorismo, che hanno cercato proseliti in anni recenti anche in Albania, ma ne hanno trovati abbastanza pochi. Certo, non si può paragonare l’islam albanese a quello di altri Paesi, né si tratta di un modello esportabile, perché è legato alla storia peculiare della nazione. Ma, con i tempi che corrono, ogni esempio di coesistenza pacifica tra cristiani e musulmani è una piccola fiammella, che il Papa va a ravvivare e a far conoscere al mondo.

 

 

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