Il preteso «diritto al figlio»: una nuova forma di schiavitù – CulturaCattolica.it

La settimana scorsa è stata caratterizzata da due eventi che scardinano dal profondo l’istituto familiare.
Da una parte, vi è la pronuncia della Corte Costituzionale italiana che ha dichiarato l’incostituzionalità della legge italiana sulla procreazione medicalmente assistita (legge 40), nelle parte in cui non ammette sul territorio nazionale la fecondazione eterologa, ossia l’utilizzo di gameti provenienti da un donatore esterno alla coppia richiedente. L’effetto della sentenza è tale che l’ordinamento giuridico deve ora adeguarsi e il servizio sanitario nazionale deve assicurare, a chi lo richieda, tale pratica. Ovviamente occorrerà una legge che stabilisca la proprietà dei figli così ottenuti in laboratorio, visto che la procreazione vede la presenza di più soggetti, potenziali padri e madri, coinvolti. Uso un linguaggio apparentemente brutale, ma reale.
Il secondo fatto è rappresentato dallo scambio di embrioni avvenuto per errore all’ospedale Pertini di Roma, che di fatto ha realizzato una fecondazione eterologa non voluta, ed ha scoperchiato il vaso di Pandora sui problemi aperti. Una madre sta per dare alla luce due gemelli ottenuti con materiale genetico di un’altra coppia. Di chi è il figlio?
E via con le ipotesi. Conta più il patrimonio genetico o la gestazione? Conta più la biologia o il fatto materiale della nascita? Conta più la volontà degli adulti coinvolti, o si deve far riferimento a criteri stabiliti una volta per tutte, per determinare maternità e paternità? E nel caso in cui eventuali contratti di genitorialità non siano poi rispettati dai contraenti, che succede?
Sono domande che al momento non hanno risposta. In ogni caso, qualunque soluzione possa ipotizzare l’uomo, dal punto di vista pratico e giuridico, essa non sarebbe comunque capace di risolvere l’enorme mistero della nascita di una nuova vita umana e della sua accoglienza in una famiglia.
Sono domande che partono da un’iniziale posizione umana di profonda ingiustizia. Con la fecondazione eterologa si spinge al massimo grado il diritto della coppia ad avere un figlio, tanto da permettere di utilizzare materiale genetico altrui. Una volta affermato il principio – come ha fatto la Consulta – perché, poi, dovrebbe impedirsi di chiedere a terzi di sostenere la gravidanza in nome e per conto di altri? Perché, avendone la possibilità, dovrebbe impedirsi di pagare qualcuno che permetta di realizzare quel diritto? Che differenza ci sarebbe poi tra l’utilizzo di donatori esterni mediante strutture ospedaliere o mediante strutture a pagamento, tra uteri volontari o uteri in affitto? Nuove forme di schiavitù si stanno imponendo a un mondo sempre più distratto.
Il preteso diritto al figlio è antropologicamente devastante, perché significa disconoscere completamente il diritto del figlio ad avere un’identità familiare, ad essere inserito in un percorso chiaro e certo di riconoscimento generazionale, con tutti i problemi che conseguono in ordine alle possibili rivendicazioni di più genitori, biologici o meno, a eventuali disconoscimenti di paternità o a sopravvenute pretese da parte dei donatori.
La risposta alle pretese degli adulti soffoca ancora una volta il diritto dei figli, e le possibili risposte ai problemi che ciò comporta non sono alto che toppe provvisorie e cedevoli, che non fanno altro che amplificare la lesione arrecata ai nostri figli e al futuro dell’umanità.
E’ questa la società che vogliamo lasciare ai nostri figli?

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