Il problema demografico e la ripresa economica

Intervista al prof. Ettore Gotti Tedeschi

Se oggi, dopo anni di silenzio, si è tornati pubblicamente a discutere  dell’emergenza demografica, lo si deve anche e soprattutto a lui, Ettore Gotti Tedeschi, classe 1945, economista e banchiere che ha avuto il compito, per ben tre anni, dal 2009 al 2012, di timoniere dell’Istituto perle Opere di Religione”.

 

Gotti Tedeschi infatti, sfidando un’omertà che durava da tempo, ha scelto di parlare -peraltro con articoli sulla stampa che conta, Carriere detta Sera in primis — di bambini che non nascono e di vecchiaia a un Paese non solo vecchio, ma incapace di guardarsi allo specchio. Un’impresa temeraria.

 

Per questo lo abbiamo avvicinato per rivolgergli qualche domanda.

 

Prof. Gotti Tedeschi, che cosa l’ha spinta a denunciare pubblicamente il problema demografico? Si tratta di una sfida non facile e poi un padre di cinque figli, quale lei è, avrebbe potuto considerarsi esonerato da questo impegno.
Infatti è una sfida difficile, soprattutto per il mondo cattolico impregnato di “comprensionismo” – attitudine a voler comprendere gli errori senza volerli e saperli correggere. Molto meno invece per il mondo laico, più pragmatico (pensi ai francesi che lo hanno affrontato come puro elemento di crescita economica). Ma anche in Italia, gli intellettuali che cominciano ad affrontare il tema demografico vengono sempre più dal mondo laico. Io da vent’anni propongo le tesi sulla demografia e chi mi ha maggiormente contestato viene dal mondo cattolico, mentre chi ha accettato il confronto, a parte il prof. Sartori, viene da quello laico.

 

Non mi sento invece esonerato dall’impegno per almeno due ragioni principali. La prima rgione, che accetta la sua ironia sul mio contributo alla crescita demografica, sta proprio nella mia preoccupazione per il futuro dei miei figli, per il loro lavoro. Senza crescita della popolazione come potrà crescere il PIL necessario a compensare gli errori prodotti dalla crescita consumistica a debito passata? Come potrà crescere perciò la domanda di lavoro?

 

La seconda ragione è molto più “seria”. Se si sbaglia la diagnosi di un problema, necessariamente la prognosi sarà errata. Se come diagnosi si considera, quale origine della crisi attuale, l’avidità dei banchieri o il cattivo utilizzo della finanza, la prognosi sarà di modificare gli strumenti, non il modo con cui devono esser usati, non il loro fine. Così non solo non si risolverà la crisi, ma si creeranno illusioni, si perpetueranno errori e si rischierà di modificare erroneamente il ruolo dell’uomo nel contesto sociale, trasformando i mezzi – finanza, economia — in fini. Il ministro dello sviluppo economico del prossimo governo dovrebbe riflettere su questo punto.

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