Il “profondamente cristiano” Pier Paolo Pasolini | ZENIT – Il mondo visto da Roma

A cinquant’anni dall’uscita del film “Il Vangelo secondo Matteo”, emerge la dimensione spirituale del trasversale artista friulano

Roma, (Zenit.org) Federico Cenci |

La vita di ogni artista anticonvenzionale è costellata di episodi che suscitano polemiche. Ne dà testimonianza il più avulso agli schemi degli intellettuali italiani del secolo scorso, Pier Paolo Pasolini. Il regista e scrittore proprio cinquant’anni fa di questi giorni si trovò al centro di un dibattito a tratti rovente, generato in seno al mondo cattolico ma che investì più ambiti culturali, per via dell’uscita del suo film Il Vangelo secondo Matteo.

Sulla scia dei non sopiti contrasti per l’accusa di vilipendio della religione, di cui il regista fu vittima appena un anno prima, nel 1963, a causa dell’episodio La Ricotta, inserito nel film Ro.Go.Pa.G., la stampa italiana si confrontò in modo energico. Si crearono due fronti contrapposti: l’uno, di estrazione laica e progressista, si spese in encomi nei confronti di un’opera ritenuta una sorta di catarsi dai dogmi religiosi; l’altro, radicato in ambienti ultraconservatori, dispiegò le sue forze per denunciare lo scandalo del racconto di un Cristo svuotato della sua dimensione divina.

Come spesso accade, tuttavia, simili contrapposizioni si rivelano sterili, giacché fondate su letture non prive di ragioni ma semplicistiche. Se si ha la pazienza di analizzare in profondità il complesso pensiero pasoliniano, se ne evincono chiaramente tratti che librano oltre le sbarre di schieramenti ingessati.

La fede, pertanto, fu qualcosa di molto presente nella vita di Pasolini. Che l’artista di origine friulana rivolgesse una particolare attenzione ai valori antichi radicati nella civiltà contadina, nonché al sacro, è un dato indiscutibile. La sua copiosa opera artistica, d’altronde, rispecchia un costante impegno di denuncia nei confronti di una società risucchiata nell’abisso dell’assenza di Dio.

Seppur dichiaratamente ateo ed anticlericale, Pasolini non rinnegò mai il suo passato di adolescente credente in Dio e frequentatore assiduo di Chiesa, dalla quale si allontanò dopo aver maturato una critica verso quella che riteneva la sua fredda e burocratica veste istituzionale, antitetica alla fede più autentica. Soprattutto, il Pasolini ateo ed anticlericale riconosceva nel Cristianesimo (essenza di quel mondo contadino che egli decantava nostalgicamente) una forza liberante dall’avvilimento borghese.

Di questi argomenti ne avrà senz’altro parlato con monsignor Luigi Angelicchio, il sacerdote che Pasolini scelse per confrontarsi durante le riprese del Vangelo Secondo Matteo. Il prelato – fondatore del Centro Cattolico Cinematografico, un ente voluto da Giovanni XXIII per discernere i film da proiettare nelle parrocchie in base ai contenuti morali – spiega come riuscì a convincere Pasolini ad aggiungere, a film girato, le scene dei miracoli di Gesù e della Resurrezione. “Feci notare al regista che aveva omesso i miracoli di Gesù, a cominciare dal più grande: la Resurrezione. E così lui tornò sul set per girare quelle scene”.

Pasolini optò proprio per il Vangelo di San Matteo, poiché egli riteneva che tra i sinottici fosse quello che maggiormente evidenziasse l’umanità di Gesù. Monsignor Angelicchio, anni fa, dichiarò in un’intervista: “Pasolini non era antireligioso. Al di là di quella malattia, non saprei come altro definirla… mi raccontava Rossellini che quando Pier Paolo vedeva un giovanotto, si alzava di botto per inseguirlo… al di là di quell’abitudine irresistibile, ecco, era profondamente cristiano”.

L’impressione di mons. Angelicchio dovette essere la stessa che la pellicola Il Vangelo secondo Matteo suscitò anche in qualche insospettabile esponente della Curia romana. Nel 1994, la rivista 30Giorni pubblicò quella che potrebbe essere definita una vera e propria rivelazione. Si legge che proprio nei giorni culmine delle polemiche intorno al film di Pasolini, vi fu un carteggio tra don Giovanni Rossi, fondatore della Pro Civitate Christiana di Assisi, l’organismo che ospitò il regista per alcune conferenze, e il cardinale Giuseppe Siri, allora presidente della Conferenza Episcopale Italiana, considerato punta di diamante dell’ala intransigente in Vaticano.

Don Rossi scrisse al porporato per chiedergli se ci fossero “obiezioni” circa il fatto che un regista dichiaratamente ateo e anticlericale producesse un film sul Vangelo. “Mio caro don Giovanni – risposse il cardinale – la ringrazio… questa lettera illumina bene la vicenda della quale, anche a sproposito, si sono occupati i giornali”. “Per portare avanti la conquista della cultura di Dio – aggiunge mons. Siri rispondendo al quesito sull’esistenza di possibili ‘obiezioni’ sulla realizzazione del Vangelo pasoliniano – qualcosa bisogna pur rischiare… mi permetta di pregarla di ‘assistere molto’ , di far pregare molto perché non si può ammettere che la faccenda (cioè il film, ndr) riesca meno bene dal punto di vista del rispetto pieno a Nostro Signore… pregherò anch’io con tutto il cuore”. Lo stesso articolo pubblicato su 30Giorni rivela che anche Giovanni XXIII espresse il suo parere favorevole.

La Chiesa dunque, stando a queste cronache, volò più in alto delle polemiche che accompagnarono l’uscita del film di Pasolini. Sepolto dalla censura delle cerchie intellettuali che monopolizzavano la cultura italiana di quegl’anni, merita d’esser riscoperto l’aspetto più profondo dell’animo dell’artista. Va detto che i miti dominanti negli anni della contestazione furono demoliti dalla trasversalità di Pasolini, proteso verso quella domanda di senso che alligna negli animi più nobili.

Sono le antiche radici cristiane del popolo contadino che trovano voce ed encomio nella sua opera artistica. Non i salotti dell’intellighenzia marxista né le università occupate da quelli che chiama “figli di papà”, bensì le campagne, per Pasolini, con le sue solide comunità umane, costituiscono gli ultimi avamposti di civiltà, sicuri rifugi dal crepuscolo moderno e reali antagonisti “dell’edonismo di massa”.

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