Il testamento di Maria

«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ’l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
(…)
In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate.

(Dante, Paradiso, XXXIII)

di Luisella Saro

Il testamento della Madonna? Fresco di stampa in libreria, a 15 euro. L’esclusiva (!) è dello scrittore irlandese Colm Tóibín a cui deve risultare letteralmente insopportabile la figura di Maria come tramandata da duemila anni, e ancora più insopportabile che Cristo sia Figlio di Dio e non figlio dell’uomo. Arriva lui (Tóibín, intendo) e ci svela (!) tutta la verità, nient’altro che la verità. La sua.
Uno un pelino strano, questo Gesù, che quando era fuori casa aveva «un tono di voce falso e pomposo» (pag. 20) e parlava «con parole altisonanti ed enigmi, usando termini strani e pieni d’orgoglio per descrivere se stesso e la propria missione nel mondo» (pag. 47). Un vanesio? un megalomane? un invasato? Fate voi.
Stavano così bene Maria, il marito, il loro bambino nell’intimità delle quattro mura domestiche… Cosa gli sarà saltato in testa, un giorno, di andarsene di casa, tra la gente? «Mi ero illusa che sarebbe tornato a casa con me, stanco di vagabondaggi», dice Maria sconsolata, senza capire, senza accettare.
Racconta, la Madonna, per quasi cento pagine, la sua (di Tóibín) verità. I seguaci di Gesù? «Un gruppo di buoni a nulla, figli unici come lui, oppure orfani, o uomini che non potevano guardare in faccia una donna. Uomini che andavano in giro parlando da soli, o che erano invecchiati quando erano ancora giovani. Nessuno era normale» (pag. 13) «Un codazzo di indovini, lunatici e mezzi matti» (pag. 34) «Un mondo di dementi, epilettici, insoddisfatti, balbuzienti» (pag. 65) «Branco di bruti mal rasati, di epilettici, di uomini incapaci… che venivano in casa mia dopo la morte di mio marito e se ne stavano a cianciare con mio figlio fino a notte fonda» (pag. 98) e giù, di complimento in complimento.
Racconta, la Madonna, dell’amicizia con Marta e Maria, e sentite un po’ come commenta la resurrezione di Lazzaro. Pare un’eroina postmoderna dell’eutanasia. «I morti devono essere lasciati in pace con il loro nuovo dono o la loro nuova libertà dal dolore» (pag. 33) Cosa vuoi che interessi, a una così, che suo Figlio, il Risorto, abbia vinto la morte?
Ma è anche pauperista e paladina dell’autodeterminazione, questa Madonna uscita dalla penna e dalla fantasia di Colm Tóibín, che a pagina 29 e 30 le fa raccontare le nozze di Cana. «Anche da giovane non mi erano mai piaciuti i matrimoni, le risate, le chiacchiere, lo spreco di cibo e di bevande, con la sposa e lo sposo simili a due vittime da sacrificare sull’altare del denaro, della posizione sociale e dell’eredità, scelti e uniti per cose che non interessavano a nessuno… Quando si era giovani, certo, era più facile sopportare tutto questo, e tra i sorrisi della gente e la follia generale può anche capitare di essere abbastanza offuscati da apprezzare il buffone che ti ritrovi a fianco».
Nascosta, braccata dopo l’uccisione del figlio, la Madonna (ma la chiamo io così: nel testo è sempre e solo Maria) ripercorre le fasi del tradimento, la cattura, la crocifissione del figlio, con la lucida freddezza del cronista pagato un tanto a parola. Sarà perché Colm Tóibín non è una madre, mi dico, che scrive come un contabile. Esempi a caso. Le dicono che stanno per crocifiggere Gesù, e lei: «Mi girai, sapendo che c’era una sola domanda da fare. “Quando?”» (pag. 56) «Ora mi trovavo a chiedere a Marco quanto tempo dura una crocifissione» (pag. 58) «Quando potei, chiesi al nostro guardiano quanto avrebbe impiegato a morire» (pag. 74)
No, non è questione di sesso, né di paternità o maternità. E’ questione di cuore. Jacopone da Todi non era madre ed era indiscutibilmente maschio. Ha composto Donna de Paradiso, o lo Stabat Mater entrando empaticamente nel cuore umanissimo di Maria, ai piedi della croce. In lei ha raccontato il dolore di tutte le madri.
Non era uomo, forse, Dante della preghiera di S. Bernardo, nell’ultimo canto del Paradiso? E che dire dei dipinti, degli affreschi, delle sculture che da secoli ritraggono i momenti drammatici della crocifissione o della deposizione? Che dire di Mel Gibson regista di The Passion? Maria ai piedi della croce è colta nel suo dolore di madre, nelle sue domande. Qui, spiace dirlo, non solo non c’è ombra della Madonna. Non c’è umanità. «Ebbi la presenza d’animo di controllarmi, per valutare la situazione» (pag. 74) Maria si guarda intorno e descrive. E i gemiti del figlio sono «ululati».
Ah, dimenticavo. La protagonista del romanzo di Tóibín, la deposizione del figlio l’ha vista solo in sogno. Lo racconta a pagina 81. Ma «inimmaginabile è ciò che è successo nella realtà – dice –, ciò con cui devo fare i conti ora, nel poco tempo che mi rimane prima di morire, altrimenti tutto ciò che è successo sarà solo una dolce favola» (pag. 82)
Ebbene sì. Maria sotto la croce non c’è stata. Alla deposizione non c’era. Se n’è andata come una affitta-uteri qualsiasi, che neanche una bestia.
Eccola, allora, la verità del “suo” testamento. «Pensai alla mia salvezza. … E quando si palesò la possibilità di essere catturata e strangolata, il mio primo istinto fu di fuggire» (pag. 80)
E’ scappata per paura, la madre di Cristo. E poi ha rubato vestiti e sandali, e ci tiene a precisare «non credo che uccidemmo alcuno, anche se alcune cose non fui in grado di vederle» (pag. 84)
Se n’è andata. E prima di morire, rabbiosa, incattivita con il mondo, confessa alla Bompiani che avrebbe voluto riavvolgere il nastro del tempo, nella speranza che «quanto gli è successo invece non succederà. Che verrà deciso di rimandarlo, di non farlo capitare a noi. E che saremo lasciati in pace, e potremo invecchiare» (pag. 93)
E’ infastidita dalla ricostruzione dei 33 anni di suo figlio. Suo. Non di Dio. «Cominciò a spiegarmi pazientemente ciò che mi era successo quando avevo concepito mio figlio… Smisi quasi di ascoltarlo, avevo altro da fare. Sapevo bene che cosa era successo» (pag. 94) e non accetta, ça va sans dire, l’idea di un figlio redentore del mondo, né la resurrezione, che Colm Tóibín fa presto a liquidare con un altro sogno.
Insomma. Altri, esperti di Sacre Scritture e di mariologia, avranno modo di sbizzarrirsi sul contenuto di questa personalissima (eufemismo) ricostruzione. Io parlo da madre e da cristiana. Una madre non scappa di fronte a un figlio che soffre, figuriamoci la Madonna! E dunque un consiglio. Non buttate 15 euro, non sprecate due ore. Leggete i Vangeli, leggete l’ultimo canto del Paradiso di Dante, leggete Jacopone da Todi. E poi guardate, nelle opere d’arte (quella vera!) la descrizione dello sguardo della Madre di Cristo, che è madre nostra. Basta lo sguardo. Pur lacerato dal dolore indicibile di quella spada che fu profetizzata, il suo cuore, ancora una volta, ha detto Fiat.

Fonte: Il testamento di Maria.

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