In Italia 2 mila spose bambine ogni anno. E molte sono costrette a rimpatriare | Thank You Oriana

MILANO — «Viviamo con il cervello a metà. Una parte nel Paese della nostra famiglia. Una parte con i nostri amici. Che ci dicono di restare qui, di inserirci in questa società». La vita spezzata delle adolescenti straniere inizia a tredici, quattordici anni. È a quell’età che (secondo i sociologi che hanno intervistato queste ragazze) si vedono i primi segni di conflitto. Fino all’anno prima potevano portare i loro compagni in casa. Poi, diventa proibito. Oppure: non vanno in gita con la classe. E iniziano le liti sui vestiti, il trucco, le magliette troppo corte.

Situazioni comuni, a Milano, Roma, Brescia. Le ragazze con il «cervello a metà» crescono su due binari, senza sapere quale seguire. Dicono: «Per noi è impossibile progettare il futuro». Si trovano in mezzo a due forze. E non sanno come metterle in equilibrio. «Poi ogni tanto qualcuna sparisce dalle scuole superiori — racconta Mara Tognetti, docente di Politiche dell’immigrazione all’università di Milano Bicocca— oppure non rientra dalle vacanze. Le famiglie le hanno riportate nel loro Paese, per farle sposare». In un solo anno, nella città inglese di Bradford, sono «scomparse» 200 ragazzine tra i 13 e i 16 anni, figlie di immigrati. In Italia non esistono statistiche dettagliate. L’unica stima è del Centro nazionale di documentazione per l’infanzia, Secondo cui le «spose bambine» nel nostro Paese sarebbero 2 mila all’anno.

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