In Pakistan i cristiani sempre nel mirino

Joseph Colony è l’area industriale di Lahore che ha visto scatenarsi in marzo un vero pogrom contro la popolazione cristiana. Fa parte della parrocchia di Anarkali, dove vivono sia cattolici sia cristiani di altre denominazioni. Quasi 250 famiglie che lì abitano hanno avuto le case incendiate, ma sono stati distrutti anche alcuni negozi e due chiese, una cattolica e una protestante.
Le violenze sarebbero state scatenate da una lite tra un giovane cristiano e uno musulmano, accompagnate dalle solite accuse di blasfemia. La notizia si è rapidamente diffusa e anche nelle moschee si è data notizia dell’accaduto. Il giovane cristiano si è consegnato alla polizia, ma nel frattempo alcuni leader musulmani hanno organizzato un attacco al quartiere cristiano. La polizia, informata di quello che stava per accadere, ha ordinato ai cristiani di abbandonare le case perché  altrimenti sarebbero stati uccisi. Questi sono fuggiti e una folla di 5 o 6mila persone ha saccheggiato e distrutto le case, anche utilizzando materiali chimici altamente infiammabili.

«La polizia non ha fatto nulla per fermare gli attacchi – denuncia padre Renato Zecchin, gesuita australiano, missionario a Lahore -. La corte suprema di Islamabad lo ha confermato con una sentenza e il primo ministro dello Stato del Punjab ha preso misure contro gli agenti. Va anche detto che molti leader musulmani si sono espressi contro l’attacco e si sono uniti a cristiani nella condanna di questi atti definiti “non islamici”».
Fatti del genere sono accaduti in passato in altri centri del Punjab (90 milioni di abitanti, la più grande regione del Paese), ma mai a Lahore. Il governo locale ha risposto con rapidità, ha mandato muratori a riparare le case, ha allestito tende per accogliere la gente, fornendo aiuti concreti, come un assegno ai capifamiglia come risarcimento.
I parroci, insieme alla Caritas di Lahore, hanno svolto un intenso lavoro di assistenza alle famiglie che intanto sono tornate nelle loro case. Il vescovo della città, Sebastian Shah, e il nunzio pontificio hanno annunciato l’istituzione di un fondo per finanziare l’istruzione dei ragazzi che sono stati vittime. «Ma la gente ha ancora paura e si sente vulnerabile – aggiunge padre Zecchin -. Altri piccoli incidenti sono scoppiati in seguito, mantenendo alta la tensione».

La religione resta al centro dei conflitti che vive il Pakistan, dove non si riesce ancora a distinguere tra politica e fede nei processi politici. Le elezioni parlamentari che si terranno l’11 maggio rischiano di far prevalere ancora la ricerca di consenso lungo linee di divisione tra gruppi religiosi, anche se la Commissione elettorale (Ecp) lo ha espressamente vietato emanando di recente un Codice di condotta. Decine di partiti registrati si definiscono islamici e accusano di secolarizzazione la commissione, mentre i gruppi religiosi minoritari hanno accolto con favore la decisione. «Il Pakistan ha sofferto enormi spargimenti di sangue nel nome della religione e delle appartenenze settarie – ha dichiarato all’agenzia di informazione cattolica dell’Asia Ucanews, Samson Salamat, cristiano e direttore del Chre, una Ong per i diritti umani -. Sono responsabili tutti gli elementi che diffondono odio tra i cittadini su base religiosa, etnica, di casta o di genere. Perciò serve attuare davvero il Codice di condotta».
«Chi è chiamato a rappresentare 180 milioni di pakistani dovrebbe essere scelto per la capacità di risolvere i problemi dei cittadini che non ne possono più di interruzioni di corrente elettrica, perdita di valore della moneta, omicidi mirati e attacchi suicidi». Lo scrive un commentatore cattolico di Lahore sul sito di Ucanews. Sotto pseudonimo, naturalmente.

Francesco Pistocchini

Fonte: In Pakistan i cristiani sempre nel mirino.

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