INDIA Vescovo dell’Orissa: Giornata missionaria mondiale, contro le persecuzioni e uniti nella fede – Asia News

di mons. Niranjan Sual Singh*
Il vescovo di Sambalpur, un dalit, racconta ad AsiaNews la sua vita nello Stato indiano, dalle vessazioni subite da bambino alla sua missione sacerdotale. Seguendo le parole di papa Francesco, che con la sua stessa vita è “esempio e modello” da seguire come vescovo.

Bhubaneshwar (AsiaNews) – “La fede è un fattore che unisce, ma anche condividerla con persone di altre religioni, attraverso il dialogo, porta unità e armonia. La fede è sostenuta dall’amore. La fede deve essere condivisa”. È il senso della riflessione di mons. Niranjan Sual Singh, vescovo della diocesi di Sambalpur (Orissa), che ad AsiaNews racconta la sua vita di dalit, cristiano e sacerdote in India, alla vigilia della Giornata missionaria mondiale 2013. Per il prelato la celebrazione di domani è “un incoraggiamento”, soprattutto perché l’invito fatto da papa Francesco a “condividere la fede” ha “il potere di trasformare la società e il mondo”. Di seguito, la testimonianza di mons. Singh. Traduzione a cura di AsiaNews.

La mia diocesi d’origine è quella di Cuttack-Bhubaneshwar. Mio padre è un maestro di scuola in pensione dell’Uttar Pradesh, mia madre una casalinga. Siamo cinque figli in tutto e io sono il più grande. Una delle mie sorelle è una religiosa della congregazione della Santa Croce. Oltre a lei ho altre due sorelle e un fratello, tutti sposati. Dopo aver frequentato una scuola dove sono nato, sono andato al seminario Bharadwaj Morning Star di Calcutta (West Bengal). Ho studiato filosofia a Pune e teologia al Teologato regionale Khristo Jyoti Mohavidyaloyo, dove ora insegno. Mi sono laureato a Vidyajyothi e ho conseguito il dottorato alla Pontificia università Urbaniana di Roma.

Come motto episcopale ho scelto “Uniti nell’amore e nel servizio”.

Per vivere il Vangelo nel mondo, e in particolar modo in Orissa, siamo chiamati a essere al servizio degli altri, io come vescovo, ma ciascuno nel suo ambiente. Per servire, è essenziale avere lo spirito di unità, sostenuti dall’amore di Cristo. Unità, amore e servizio sono tre importanti virtù cristiane, e sono stati gli strumenti per esprimere la nostra fede, poiché riflettono la comunione e l’amore della Santa Trinità.

Con grande umiltà servo la Chiesa in questa gloriosa celebrazione dei 50 anni del Concilio Vaticano II, che ci permette di comprendere la Chiesa in modo nuovo e adattare la vita di essa al mondo di oggi.

La nostra missione si orienta secondo i bisogni delle persone, attraverso il nostro amore per Cristo.

In Orissa, purtroppo, le divisioni esistono a vari livelli nella società, e questo fa si che si creino dei gruppi, per difendere e proteggere se stessi dagli altri. Sfortunatamente, i sospetti e le ostilità esistono anche tra popoli e religioni, oltre che nei gruppi indigeni e i dalit.

Mi rattrista ammettere che, mentre celebriamo l’India come una terra di tolleranza, proprio qui il divario tra popoli e religioni si sta allargando sempre di più e sta diventando un trend negativo.

Essere missionari tra le persecuzioni dell’Orissa

Per un pretesto qualsiasi, noi missionari affrontiamo persecuzione e opposizione in ogni villaggio [in cui operiamo]. C’è un forte movimento che si oppone a ogni tipo di attività missionaria. Di base però vediamo che le persone di buona volontà, in particolare quelli che davvero temono Dio, conducono in pace le loro vite. Sono aperti ai messaggi di tutte le religioni, in particolare a quello del Vangelo, che è una vera sfida. So con certezza che dalit e tribali sono attratti dalla vita di Cristo e dal suo messaggio. Noi non diciamo che ogni cosa sarà influenzata dal messaggio. È sufficiente che almeno il messaggio penetri nei cuori delle persone, e queste saranno illuminate dalla Parola di Dio, dalle parole di Cristo. Quell’illuminazione li aiuterà a superare la maggior parte dei problemi della loro vita. Così il mio lavoro missionario sarà quello di rimuovere le tenebre dalle loro menti e illuminarle con il messaggio di Gesù. Questo li aiuterà a vedere gli altri come fratelli e sorelle; a diffondere buoni sentimenti e cordialità; a instaurare fratellanza e pace tra la gente, anche se si appartiene a caste o religioni diverse. Essi riusciranno a considerare il loro vicino come se stessi.

È possibile convivere in Kandhamal

Sono cresciuto nel distretto di Kandhamal e ho vissuto lì fino alla mia ordinazione sacerdotale, quindi l’intera zona mi è molto familiare. Amo quei luoghi e le persone che ci vivono, che siano indù o cristiani. Chiunque appartenga al Kandhamal ha un posto nel mio cuore. Sono stato lontano negli ultimi otto anni, quando ho insegnato in seminario. Il mio approccio nei confronti delle persone di altre religioni è essenzialmente di amore. Do il mio totale sostegno a tutti, nonostante alcuni di loro abbiano creato problemi. Per questo, anche nel bel mezzo dei contrasti, abbiamo amore per le persone di quell’area e continueremo a fare tutto il possibile per portare loro pace e giustizia.

Tuttavia, ci sentiamo davvero incoraggiati dalla Giornata missionaria mondiale lanciata da papa Francesco e il suo affermare che “la fede deve essere condivisa”. La fede è un fattore che unisce, ma anche condividerla con persone di altre religioni, attraverso il dialogo, porta unità e armonia. La fede è sostenuta dall’amore.

Il Concilio Vaticano II sottolinea in modo speciale come il compito del missionario, quello di ampliare i confini della fede, appartiene a tutti i battezzati e a tutte le comunità cristiane.

“Spesso – scrive papa Francesco – l’opera di evangelizzazione trova ostacoli non solo all’esterno, ma anche all’interno della stessa comunità ecclesiale. A volte sono deboli il fervore, la gioia, il coraggio, la speranza nell’annunciare a tutti il Messaggio di Cristo e nell’aiutare gli uomini del nostro tempo ad incontrarlo”. Egli mitiga la domanda a un lavoro apostolico energico ribadendo che l’evangelizzazione non deve mai coinvolgere pressioni o costrizione.

Il papa prosegue [spiegando che] per forza di cose l’evangelizzazione coinvolge persone della Chiesa: “Evangelizzare non è mai un atto isolato, individuale, privato, ma sempre ecclesiale”.

La diocesi di Sambalpur copre nove distretti e conta oltre 40mila cattolici. In totale ci sono tra i 70 e gli 80 sacerdoti, diocesani e religiosi. I cattolici sono per lo più tribali.

La popolazione di Sambalpur sono in larga parte contadini che vivono in villaggi. Alcuni di loro sono lavoratori giornalieri. Sebbene quasi tutti posseggano un pezzo di terra, esso non rende molto. Alcuni di quelli che lavorano come impiegati in città come Sambalpur e Jharsuguda sono benestanti, ma sono un gruppo ristretto. La maggior parte lavora alla giornata o coltiva la terra. Io voglio estendere il mio servizio a persone di altre religioni, in particolare nel settore educativo e sanitario. Queste sono le due aree di cui la gente ha più bisogno. Inoltre voglio fare qualcosa per i poveri, che sono numerosi.

Essere dalit e cristiano

Io sono un dalit e nella mia infanzia ho vissuto cosa significa essere discriminato perché appartieni a questa casta. Da bambino dovevo attraversare un villaggio di caste superiori per andare a scuola. Ogni volta che indossavo delle ciabatte, usavo l’ombrello o indossavo una maglietta nuova, quelle persone mi chiedevano di toglierle. Potevo uscire dall’aula solo dopo gli altri. Ho affrontato molte situazioni simili. Ma ora, dopo essere diventato sacerdote, sento che non dobbiamo ripetere le esperienze passate. Il nostro atteggiamento deve essere di cambiare ciò che è stato in un’esperienza di comunione, di unione, per comprendere che siamo tutti figli di Dio. E come vescovo il mio complito è prendermi cura della mia comunità così come delle altre. Mi sforzerò di portare armonia e pace tra le diverse comunità.

Il messaggio di papa Francesco per la Giornata missionaria mondiale, “la fede deve essere condivisa”, ha il potere di trasformare la società e il mondo. La fede in Cristo illumina e nobilita l’umanità, è agente della trasformazione sociale – non solo spirituale – del mondo e può portare un nuovo ordine globale, fatto di giustizia, dignità e uguaglianza della persona umana.

Perché la fede nella nostra famiglia ci ha nobilitato, siamo cresciuti attraverso di essa. Mio nonno ha abbracciato Cristo quando aveva 55 anni e da allora il servizio indefesso dei missionari cristiani, la Congregazione della missione (Cm) e i salesiani ci hanno innalzato alla dignità attraverso la fede. I cristiani ci hanno portato illuminazione e dignità, e io sono profondamente in debito con i nostri padri missionari che hanno portato in Orissa la luce del Vangelo. Essa ci ha liberato da una vita condannata all’oppressione, alla povertà e all’emarginazione. L’umanità dei nostri tempi ha bisogno di una luce sicura che illumini il suo cammino e che solo l’incontro con Cristo può dare.

Fede, dignità, uguaglianza sono correlati, intrecciati e inscindibili dalla fede. La fede esorta tutti noi a lavorare per gli altri, gli oppressi, i fuoricasta, le donne, per coltivare la cultura di dignità e uguaglianza verso tutte le persone, e per portare armonia anche alle sezioni più fragili della società. Questo è il mandato cristiano. La nostra fede in Cristo ci obbliga a rispettare l’altro e a lavorare per il suo bene, soprattutto per chi è allontanato dalla società.

Ci sono un’unione e una coesione profonde e integrali nel messaggio di papa Francesco per la Giornata missionaria mondiale, e nel modo di vivere e comportare con cui il Santo Padre adempie al suo ministero petrino.

San Paolo dice: “La fede senza buone opere è inutile”, e la nostra fede ci obbliga a mitigare le miserie nel mondo, e noi come seguaci di Cristo non possiamo essere meri spettatori della miseria delle persone. Siamo chiamati ad approfondire la nostra fede e a servire le persone, attraverso i diversi apostolati della Chiesa cattolica, a sanare le ferite dell’ostracismo, dell’emarginazione e della privazione attraverso la fede e le opere della misericordia di Cristo. Ciò che facciamo sgorga dal cuore ferito di Gesù ed è la nostra fede che ci impone di vivere nella carità per servire l’amore di Cristo.

Con l’esempio della sua stessa semplicità, papa Francesco è per me un modello da seguire come vescovo. Condividere le vite dei poveri, le loro difficoltà e le loro sfide, e dare alla gente il miglior regalo: la condivisione della fede, che ha il potere di trasformare e nobilitare, rafforzare e liberare, unire e realizzare, attraverso l’amore di Cristo. Questo è il messaggio che ci dà papa Francesco per la Giornata missionaria mondiale: realizzarci nelle nostre vite, celebrando i 50 anni del Concilio Vaticano II.

 

*Vescovo di Sambalpur

 (Ha collaborato Nirmala Carvalho)

Fonte: INDIA Vescovo dell’Orissa: Giornata missionaria mondiale, contro le persecuzioni e uniti nella fede – Asia News.

Print Friendly, PDF & Email
Questa voce è stata pubblicata in Asia e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

I commenti sono chiusi.