IRAN – MYANMAR Educazione e libertà religiosa per il bene dell’Iran e del Myanmar – Asia News

di Bernardo Cervellera
Teheran e Yangon presentano segni di novità, ma sono frenati dalla vecchia guardia. Cresce il divario fra ricchi e poveri, la disoccupazione e lo sfacelo dei sistemi educativi. La comunità internazionale e le Chiese devono impegnarsi nel mondo dell’educazione e per garantire la piena libertà religiosa, importante aiuto allo sviluppo.

Yangon (AsiaNews) – Scrivo queste note mentre sono ancora in viaggio fra Iran e Myanmar. Ho passato buona parte del mese di aprile visitando questi due Paesi, così importanti sullo scacchiere internazionale. Essi sembrano muoversi su due piste quasi simili: fino a poco tempo fa, uno o due anni, essi erano trattati come dei paria dalla comunità internazionale, bollati come patria del terrorismo il primo; sede di una violenta dittatura militare il secondo. Ma entrambi, da poco tempo mandano segnali di novità: con l’elezione del presidente Hassan Rouhani sembra che Teheran voglia aprire alla distensione nel rapporto con gli Stati e dialogare su tutto, anche sul programma nucleare; con la nascita di un governo “laico”, distinto dai militari (sebbene i suoi membri siano tutti militari che per l’occasione hanno lasciato l’esercito), il Myanmar cerca di aprirsi al commercio mondiale e alla democrazia.

Eppure in entrambi i Paesi ho trovato personalità di tutte le tendenze e religioni che sono scettiche sui cambiamenti manifestati dai loro governi. La sfiducia non è tanto verso i nuovi capi e verso le loro promesse, ma verso i partiti che avevano finora gestito politica ed economia, che tendono a mettere il bastone fra le ruote per fermare ogni cambiamento che potrebbe ridurre il loro potere.

In Iran gli ayatollah sempre presenti nella vita politica e nella società, fanno combutta con le cosiddette “guardie rivoluzionarie” che dai tempi di Khomeini hanno monopolizzato il potere e possiedono addirittura un esercito parallelo a quello nazionale. Per questi ultimi, un mercato più aperto significa perdere importanti fette dell’economia e preferiscono gridare il loro sdegno verso l’occidente, appoggiati in questo da diverse autorità religiose che vedono con terrore una possibile ondata di secolarizzazione che potrebbe spazzarli via.

Ayatollah e Guardie rivoluzionarie preferiscono tenere il loro mondo chiuso, i rapporti internazionali controllati, angariare la popolazione con le loro prediche e la loro polizia religiosa.

In Myanmar, la democrazia tanto predicata non produce alcun cambiamento nella costituzione e nelle leggi, prevenendo la possibile elezione della leader democratica Aung San Suu Kyi – alle elezioni del maggio 2015 – e svendendo le ricchezze del territorio (foreste, miniere, preziosi, petrolio, energia) solo a chi garantisce la stabilità e il potere dell’esercito. La battuta più comune sul libero mercato a Yangon è: Se vuoi fare soldi a palate, corrompi un burocrate e alleati con qualcuno dell’esercito.

I frutti di questa chiusura ad oltranza sono comuni a entrambe le situazioni: a) anzitutto un enorme divario fra ricchi e poveri che rischia di rendere instabili i due Paesi. In Myanmar, poi, i poveri sono in pratica tutta la popolazione, meno i militari e i loro accoliti, strozzata da un alto tasso di inflazione e dalla schiavitù; b) lo sfacelo del sistema educativo, che non riesce a motivare i giovani nel prendere responsabilità e professionalità; nel migliore dei casi, quelli che riescono di più, cercano di emigrare; c) vi sono forti limiti alla libertà religiosa dei cristiani (e anche di altre religioni). E’ garantita la libertà di culto, ma si nega ai cristiani di fare proposte sociali con scuole, ospedali, centri giovanili, istituti professionali che potrebbero dare nuove speranze ai giovani e iniettare nuove creatività nella trama di società invecchiate e ossificate dal potere antico.

Da questa situazione emergono due considerazioni: 1) la Chiesa universale, nell’aiutare le Chiese sorelle dell’Iran e del Myanmar devono puntare molto sull’educazione come strada per far acquisire professionalità e capacità di agire nella modernità e nell’agone mondiale; 2) la comunità internazionale, insieme alla libertà di commercio deve domandare ed esigere la libertà religiosa, non solo per dare fiato agli slanci spirituali della popolazione, ma per liberare veri agenti di sviluppo che, insieme al Vangelo, si prendono cura degli ultimi di questi due grandi Paesi. Troppi ayatollah predicano una morale che non si cura dei poveri; e troppi militari esaltano il patriottismo, escludendo fette di popolazione. Far emergere questi nuovi agenti di sviluppo, capaci di incidere nella società, è il modo migliore per rendere l’Iran e il Myanmar dei veri partner internazionali.

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