IRAQ Card Sako: I cristiani irakeni, confusi fra sopravvivenza e migrazione

24/08/2018, 09.34
IRAQ
di Louis Raphael Sako*

In una lettera il primate caldeo ricorda le sofferenze e le persecuzioni subite dalla comunità nell’ultimo decennio. Per il futuro servono “garanzie” e una “base comune” fondata sulla cittadinanza. La sfida dell’emigrazione, da vincere restituendo un tessuto sociale e politico sul quale ricostruire la propria vita.

 

Baghdad (AsiaNews) – I cristiani e le altre minoranze irakene hanno bisogno di “garanzie” per sopravvivere e una “base comune” che si fonda sulla “cittadinanza, non sulla religione o la dottrina”. È quanto scrive il primate caldeo, il card Louis Raphael Sako, in un messaggio pubblicato sul sito del patriarcato caldeo e inviato per conoscenza ad AsiaNews. Il “deterioramento” della sicurezza negli ultimi 13 anni, avverte il porporato, fra cui rapimenti, riscatti, omicidi, distruzione di case e proprietà ha causato una progressiva “perdita di fiducia” nei cristiani, i quali si sono visti costretti a emigrare.

Tuttavia, oggi più che mai è importante ricostruire il tessuto sociale e politico e garantire un futuro nel loro Paese di origine, al quale hanno fornito in passato “contributi molto importanti” sotto il profilo “economico, sociale e culturale”. Restituendo loro, avverte il card Sako, la “dignità” perduta.

Ecco, di seguito, il testo integrale del messaggio del patriarca Sako. Traduzione dall’arabo a cura di don Rebwar Audish Basa:

Vorrei in questo articolo trattare i principali motivi per cui i cristiani devono da un lato restare nella loro terra di origine, cioè l’Iraq, o dall’altro di lasciarla ed emigrare. In ogni caso, voglio esprimere la mia preoccupazione per la situazione attuale e futura del nostro Paese.

Anzitutto, va precisato che i cristiani in Iraq sono un popolo originario, e non una comunità immigrata che è venuta da un altro pianeta. Infatti, le radici dei cristiani irakeni risalgono al primo secolo d.C., mentre le loro origini etniche risalgono a migliaia di anni prima, essendo discendenti dei caldei, degli assiri, dei siriaci ed arabi.

I cristiani nel corso della loro lunga storia hanno servito il loro Paese in modo assai decisivo e influente a tutti i livelli, fra i quali quello economico, culturale e sociale. Essi credono fermamente che l’Iraq sia la loro terra di origine e parte integrante della loro identità, e che rappresentano una parte fondamentale delle diverse componenti della società. Perciò, rifiutano di essere marginati per quanto riguarda la loro appartenenza alla terra e al popolo iracheno. E nonostante tutto quello che è accaduto in Iraq, i cristiani desiderano, dal profondo del cuore e per tutti, la pace, la stabilità, una vera uguaglianza, un reale riconoscimento della cittadinanza, la libertà e la dignità.

Le motivazioni dell’immigrazione

I cristiani iracheni hanno subito delle pressioni sociali e politiche, e vengono trattati come una minoranza insignificante e come cittadini di serie B. E ovviamente, questo modo di trattarli fa male. Ricordiamo, ad esempio, tutto quello che i cristiani hanno patito durante la guerra fra l’Iran e l’Iraq, l’occupazione del Kuwait, i 13 anni di embargo, la caduta del regime nel 2003, e il fallimento dei governi successivi nel mettere le fondamenta per uno Stato nazionale e nel consolidamento di una cultura della cittadinanza e dell’uguaglianza.

Al contrario, hanno trionfato il settarismo e il tribalismo, che sono fondati sulla protezione solamente dei propri membri, la diffusione di una predicazione religiosa fondata sul fondamentalismo, che fa riferimento ai concetti antichi per giustificare la violenza, sebbene la religione dovrebbe essere basata sulla misericordia, l’accettare l’altro, e il buon comportamento verso tutti.

E in più, il deterioramento della situazione per quanto riguarda la sicurezza negli ultimi 13 anni, e le sue conseguenze come la serie di rapimenti, riscatti, omicidi, bombardamenti e sequestri di case e proprietà, ha fatto sì che i cristiani abbiano perso la fiducia e la speranza in un futuro migliore, e tutto ciò che li ha costretti a lasciare tutto e immigrare.

Ma lo shock è stato l’invasione del dello Stato islamico “Daesh” e la sua conquista della città di Mosul e di tutto il territorio della piana di Ninive nel 2014, e lo svuotamento dei suoi cristiani(ن). [Il simbolo: (ن : Nazareni), messo sulle case e le proprietà dei cristiani a Mosul e nella piana di Ninive, da parte dell’Isis è diventato ormai il simbolo della persecuzione anti-cristiana di oggi.

In realtà, lo Stato islamico aveva dato tre scelte ai cristiani: la conversione all’islam, il pagamento di una tassa, di cosiddetta protezione (jizya – dhimma), o l’abbandono forzato ed immediato della loro terra, altrimenti sarebbero stgati uccisi. E purtroppo, Daesh ha cancellato i monumenti e i simboli cristiani a Mosul, sia quelli antichi che quelli moderni.

Subito dopo la caduta del regime (di Saddam Hussein), alcune forze politiche locali hanno cominciato un conflitto fra di loro per dominare le città e i villaggi cristiani della pianura di Ninive, con l’obiettivo di ridisegnare la mappa demografica di quella zona, da parte di ciascuna di quelle forze per i propri interessi.

La barriera militare che separa la cittadina cristiana di Batnaya (sotto il controllo dell’esercito iracheno e le milizie sciite) da quelle di Telesqof ed Alqosh anch’esse cristiane (sotto il controllo delle forze armate ‘Peshmerga’ della regione autonoma di Kurdistan Iracheno) è la prova concreta di questo conflitto. Questa barriera non è stata rimossa fino ad oggi, nonostante le promesse fatte di toglierla sia da parte dell’autorità della regione di Kurdistan iracheno, sia quelle del governo iracheno.

Anche le organizzazioni internazionali hanno incoraggiato i cristiani a emigrare, offrendo loro tutto il sostegno e le facilità in questa direzione. Ugualmente, i mass media occidentali hanno lavorato in questa direzione, ribadendo che – entro cinque o dieci anni – non ci sarebbero più stati cristiani in Iraq.

Tutti questi fattori hanno contribuito nel far arrivare i cristiani ad un punto in cui sentono che la loro dignità è attaccata, la loro fiducia è persa, la loro esistenza millenaria è minacciata. Ed è così anche per quanto riguarda la loro appartenenza, la storia, l’identità, fede, e lingua. Faccio un esempio concreto che riguarda l’università di Hamdaniya (Qaraqosh, che è una città cristiana della piana di Ninive). Per questa università è stato nominato come presidente uno che non appartiene a questa città. Mentre sappiamo che la chiesa ha aiutato l’università per poter continuare dopo l’invasione di Daesh in quella zona, e ancor oggi gli studenti appartenenti ad essa usano le sale e gli edifici della chiesa come aule universitarie. E ci sono altri esempi spiacevoli e tristi come questo.

I cristiani erano circa il 4 o 5% della popolazione irachena. Erano circa un milione e mezzo prima della caduta del regime [di Saddam Hussein], ed erano un’élite nazionale, culturale, sociale ed economica.

Ma dall’inizio del 2003 sono stati uccisi circa 1220 cristiani in diversi episodi di violenza in tutto l’Iraq, tra cui 700 persone, inclusi i religiosi, sono stati uccisi per la loro appartenenza cristiana. E sono state sequestrate 23mila proprietà immobiliari dei cristiani, 58 chiese sono state fatte saltate in aria. In tutte queste statistiche non è incluso quello che ha fatto lo Stato islamico. Daesh, in realtà, ha bruciato, profanato, ecc. tutte le chiese a Mosul e nelle città e i villaggi della piana di Ninive. E come conseguenza di tutto ciò, un milione dei cristiani, su un totale di un milione e mezzo, ha lasciato l’Iraq e ha intrapreso la strada dell’emigrazione.

I fattori che li incoraggiano a rimanere

I cristiani iracheni e le altre minoranze hanno bisogno di rassicurazioni per poter rimanere nella loro terra, proseguire nella loro presenza millenaria, e continuare la loro convivenza con le altre componenti della società. Loro vogliono che il governo li guardi con gli stessi occhi con cui guarda gli altri gruppi, facendoli sentire cittadini di pari dignità, sia nei diritti che nei doveri. Perché la cittadinanza, come sappiamo, non è basata sulla religione e la dottrina, ma su basi comuni.

I cristiani vogliono delle soluzioni rapide e chiare per alcune questioni, come: il rispetto della loro identità, diversità, le zone appartenenti ad essi storicamente (contro i tentativi di un cambiamento demografico ed etnico), la loro protezione da qualsiasi minaccia, attacco, o da qualsiasi legge che li opprima. Inoltre, c’è una grande necessità di ricostruire la fiducia fra i cristiani e i loro vicini nelle zone liberate da Daesh, tramite procedure concrete quali: la punizione dei criminali, il risarcimento dei danni a favore delle vittime, la restituzione delle proprietà immobiliari ai proprietari originali, la rimozione delle mine dai loro campi, la ricostruzione delle loro abitazioni, e il miglioramento nei servizi essenziali, affinché possano tornare nelle loro case.

La situazione attuale richiede una strategia precisa, per stabilire la giustizia sociale e le pari opportunità. Ed è molto importane lavorare sul discernimento, l’insegnamento, l’educazione alla cultura dell’accettazione dell’altro, e il rispetto reciproco tra le persone appartenenti a diverse religioni. Tutto questo bisogna farlo nelle case, nei luoghi di culto, nelle scuole, sui libri e i programmi scolastici, e nella formazione degli insegnati. Infine, bisogna condannare qualsiasi insulto o aggressione contro qualsiasi cittadino, soprattutto se causato dalla sua appartenenza religiosa, dottrinale, etnica, o di sesso.

* Patriarca caldeo di Baghdad e presidente della Conferenza episcopale irakena

Sorgente: IRAQ Card Sako: I cristiani irakeni, confusi fra sopravvivenza e migrazione

Print Friendly, PDF & Email
Questa voce è stata pubblicata in Africa e Medio Oriente. Contrassegna il permalink.

I commenti sono chiusi.