J’ACCUSE/ Quel Gesù Bambino morto a Carrara non può guarire il nostro cuore ferito

Monica Mondo lunedì 10 dicembre 2012

 

A Carrara, davanti al luminoso duomo di Sant’Andrea, che sfodera il celebre marmo bianco che affascinava Michelangelo, hanno preparato il presepe per Natale. Una tenda, in mezzo al piazzale, con dentro bidoni di metallo al posto della Sacra Famiglia, e il bambinello è uno scheletrino bianco, una cosina in resina circondato da foto di guerra, stordito da una colonna sonora di raffiche di mitragliatrice, scoppi di bombe, spari, mescolati a cori angelici natalizi. Più che un presepe, ci spiegano, un allestimento, a scopo provocatorio. Si richiama a un fatto di cronaca che lo scorso inverno aveva scioccato la città: una donna ucraina trentenne, al settimo mese di gravidanza, era morta di stenti nella baracca che abitava in un’area industriale dismessa, alla periferia. Una botta allo stomaco per far riflettere sull’emarginazione, la solitudine, l’ipocrisia di chi festeggia senza pensare a chi soffre e alle troppe guerre dimenticate.

Giustissimo. Anzi, no, chiacchiere, fin troppo sentite. Lo cantavano già i Nomadi, che Dio era morto. Non c’è che dire, è storia. Ma terminavano la loro canzone leggendaria con la Sua Resurrezione, perché il desiderio dell’uomo, la sua fiducia, la sua speranza non possono rassegnarsi alla morte, alla disperazione. Al peccato, proprio e altrui. Alla follia, alle atrocità più insensate e bestiali. Dio muore per morire con noi, e risorge come noi risorgeremo, come noi possiamo risorgere ogni giorno. E’ venuto per sconfiggerla, la morte.

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