Kaigama: «Insieme agli islamici vinceremo il terrore»

Il telefono squilla di continuo. Monsignor Ignatius Kaigama, arcivesco di Jos e presidente della Conferenza episcopale nigeriana, risponde in inglese, francese, anche in italiano. In molti vogliono congratularsi per il premio “Colomba d’oro per la pace” che oggi gli verrà conferito a Roma dall’Archivio disarmo. Il prestigioso riconoscimento, giunto alla ventottesima edizione grazie al contributo di Legacoop, viene assegnato a personalità internazionali che si sono distinte nell’impegno contro la violenza. Come monsignor Kaigama.

Che da oltre dieci anni si batte per costruire «un’amicizia duratura e autentica» tra cristiani e musulmani della Nigeria. Un Paese martoriato dalla violenza dei fondamentalisti di Boko Haram. «Quando si è diffusa la notizia del premio, i primi a chiamarmi sono stati proprio gli amici musulmani… Volevano congratularsi e dirmi quanto è importare avanti per affermare la pace», dice l’arcivescovo, con voce squillante. Riesce a conservare buonumore e ottimismo, nonostante operi in uno degli Stati nigeriani più colpiti dalla violenza. Eppure questo combattivo pastore non perde slancio. «A volte mi sento stanco. È difficile combattere per la pace. Però basta qualche piccolo gesto a farmi tornare l’energia», afferma. Come la scelta di Ignatius Longjan, vice governatore dello Stato del Plateau, di accompagnare l’arcivescovo nel suo viaggio in Italia. «È stato un modo per dirmi: non sei solo, i nigeriani che vogliono la pace – di qualunque fede – sono con te».

Eccellenza, lei è molto impegnato per il dialogo interreligioso. Dal 2011, ha anche realizzato un Centro di formazione professionale rivolto ai ragazzi, cristiani e musulmani. Come si fa a sconfiggere la violenza?

Costruendo e coltivando l’amicizia fra le differenti comunità religiose. In particolare, a livello di vertici. In modo che questi ultimi, a loro volta, incoraggino i giovani a dialogare con i coetanei dell’altra fede. Solo un incontro autentico fra le persone può far crollare le barriere del pregiudizio, degli stereotipi, dell’intolleranza. Sono questi ultimi ad alimentare la violenza.

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