Kairos: Principe per nascita, mendicante per amore

 

 

A Bucarest il 31 agosto la beatificazione del sacerdote martire Vladimir Ghika. 

(Ioan Robu, Arcivescovo di Bucarest) «Mamma, mamma, guarda laggiù come il cielo bacia la terra!». Benché bella e poetica, questa esclamazione legata alla scoperta dell’orizzonte non avrebbe nulla di speciale se non fosse per il suo autore, che all’epoca in cui la pronunciava aveva appena tre anni e mezzo, ossia l’età del gioco e della spensieratezza. Quel bambino che riusciva a esprimere in modo così efficace l’intuizione dell’amorevole presenza divina era Vladimir Ghika, poi divenuto sacerdote e quindi ucciso in odio alla fede a Bucarest il 16 maggio 1954, all’età di 80 anni. Il prete romeno sarà beatificato sabato 31 agosto, nel corso di una cerimonia nella capitale del Paese, dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, in rappresentanza di Papa Francesco.
Il piccolo Vladimir non avrebbe mai perso di vista il costante “bacio” di Dio all’umanità. E quando l’amore divino divenne certezza incrollabile della sua vita, Ghika si trasformò in un testimone vivente del Deus caritas est.
Nato il 25 dicembre 1873 in una nobile famiglia romena, ricevette i sacramenti dell’iniziazione cristiana nella Chiesa ortodossa. Durante gli studi effettuati in Francia subì l’influenza dell’ambiente protestante per poi approdare — dopo innumerevoli letture, studi e meditazioni — al cattolicesimo. Conseguì la licenza e il dottorato in filosofia e teologia nel collegio San Tommaso a Roma. Nel 1902 fece il suo ingresso ufficiale nella Chiesa cattolica, con l’atto di fede nella basilica romana di Santa Sabina all’Aventino. Resterà tuttavia in lui uno spirito profondamente ecumenico, fedele al sogno di un solo gregge e un solo pastore per il quale egli spese tutta la vita.
Chi è stato Vladimir Ghika? Prima di tutto un grande dono che Dio ha fatto al popolo romeno e alla Chiesa universale. Se dovessi descriverlo in poche parole, direi che è stato un “principe” per nascita che ha seguito la via regale della Croce, diventando per scelta un “mendicante” di amore per Cristo, con la convinzione che non amiamo Dio come si dovrebbe se nel nostro amore verso di lui non riusciamo a farlo amare anche dagli altri.
Ghika è stato un portatore della croce. Ma la sua via crucis era destinata a diventare una via resurrectionis, grazie all’esempio della sua vita e del martirio. Egli è diventato un faro non solo per la gente del suo tempo ma anche per le generazioni future. Quando divenne sacerdote, a 50 anni, aveva già percorso un cammino in cui, dopo aver conosciuto la misericordia di Dio, era diventato egli stesso una viva immagine dell’amore e della compassione divina. Prima di celebrare la liturgia eucaristica aveva già praticato intensamente la cosiddetta “liturgia” del prossimo, della carità cristiana e del sacrificio di sé. Infatti, il metro di misura di tutta la sua vita sacerdotale fu una domanda che arrivava nel proprio cuore dall’altare: «Oh, mio sacerdote, come ardirai a sacrificare Me, effettivamente e totalmente, se prima non hai sacrificato te stesso, effettivamente e totalmente?».
Nel suo percorso verso il sacrificio eucaristico, Ghika non evitò mai i deserti dei tanti cuori umani afflitti o smarriti, in cerca di aiuto, consiglio, consolazione e benedizione. Il suo cammino umano e sacerdotale non fu progettato secondo calcoli o interessi terreni, bensì guidato da un unico pensiero: fare la volontà di Dio e rispondere alle sue attese, nel desiderio di raggiungere la salvezza propria e quella del prossimo.
Se da un lato potrebbe risultare relativamente semplice tracciare la mappa dei numerosissimi viaggi compiuti da quest’instancabile apostolo del XX secolo, non è altrettanto facile descrivere la ricchezza delle sue riflessioni dedicate al mistero di Dio in relazione all’animo umano. Tuttavia il comune denominatore delle sue meditazioni resta la continua ansia di scoprire l’intervento di Dio nella salvezza dell’uomo e di esserne strumento. Soltanto così si spiega l’instancabile andare in cerca delle anime perdute, lontane da Dio, unito alla speciale cura per gli ammalati e i bisognosi. Ghika aveva capito che l’autentico abbraccio del Cielo alla terra non avveniva all’orizzonte, ma nell’anima dell’uomo, per cui non bisognava tenere lo sguardo puntato lontano, bensì vicino, verso il prossimo bisognoso di aiuto e di speranza.
Di lui parlano soprattutto i gesti e le azioni, la sua vita santa coronata da una morte da martire nel carcere politico di Jilava. Bisogna essere grati a Dio che ci ha donato l’esempio di questo “principe” della carità il cui insegnamento spirituale si potrebbe concentrare in tre temi: vita sempre consapevole e animata dalla presenza reale di Dio, preghiera continua e “liturgia” del prossimo. La sua ferrea convinzione era che «nulla ci può avvicinare di più a Dio che il prossimo». Va ricordato che il principale apostolato al quale si dedicò fu quello di riportare le anime smarrite alla casa del Padre, e per compiere tale missione non tenne conto né delle distanze geografiche, né del ceto sociale, né della nazionalità. Fu un grande apostolo della carità: non bisogna dimenticare che nel 1904 conobbe suor Vincenza Pucci, delle Figlie della carità di San Vincenzo de’ Paoli, e questo incontro lo aiutò a delineare il suo progetto per le opere di assistenza e solidarietà verso i più bisognosi, tanto che due anni dopo, nel 1906, aprì a Bucarest il primo ambulatorio medico gratuito. Ma la sua carità non si limitó ai poveri, agli ammalati e alle vittime delle calamità naturali, ma fu soprattutto rivolta a chi era lontano da Dio. Per lui la più grande povertà, malattia e calamità era l’assenza di Dio nella vita di una persona, l’abbraccio mancato di Dio, impedito talvolta dal rifiuto consapevole dell’uomo.
Ghika era un sacerdote che — come direbbe Papa Francesco — è uscito dalla propria logica per entrare nella logica di Cristo, un pastore che stava in mezzo alle sue pecore tanto da prendere il loro odore.
Va anche detto che le sue pecore — a forza di stargli accanto — hanno preso il suo profumo di santità, come testimoniano le numerose conversioni di persone che l’hanno conosciuto e i tanti figli spirituali che lo cercavano continuamente per avere i suoi consigli e il suo sostegno nelle difficoltà di tutti i giorni. Ghika fu padre spirituale di numerosi giovani affascinati non solo dalla sua personalità e cultura e dalle conoscenze che lo avevano portato a parlare numerose lingue: quello che li attirava era soprattutto la percezione della presenza di Dio in lui, quell’inconfondibile profumo di santità.
I giovani, come tutti quelli che hanno conosciuto monsignor Ghika, non possono non rimanere affascinati da quest’uomo di nobili origini, con davanti delle prospettive favolose, destinato a una carriera diplomatica brillante, imparentato con le teste coronate di tutta l’Europa, stimato, accolto come un re in tutti i salotti culturali dell’Europa, che ha rinunciato a tutto per servire umilmente Cristo, fino ad arrivare a dormire sulla panca di una baracca a Villejuif, nella periferia di Parigi, per vivere da povero con i poveri. Un uomo che ha incontrato Cristo. E ha capito che con Lui si può anche non possedere niente, perché nel cuore risuona una certezza: io non manco di nulla.

L’Osservatore Romano, 20 agosto 2013.
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E Pio XI lo chiamava «il grande vagabondo apostolico»
«Il grande vagabondo apostolico»: così Pio XI chiamava Vladimir Ghika per sottolinearne la instancabile attività missionaria. Non a caso lo stesso Pontefice gli aveva concesso il permesso di celebrare la messa sia in rito latino che in quello orientale, e la facoltà di svolgere il suo ministero in ogni parte del mondo, a beneficio delle più diverse categorie di fedeli. Da laico, già durante la prima guerra mondiale Ghika viaggiò continuamente tra Francia, Italia e Romania per assistere i prigionieri e i feriti. Nel 1915 prese parte alle operazioni di soccorso delle vittime del devastante terremoto nella Marsica, in Abruzzo. Dopo l’ordinazione sacerdotale, la sua scelta di povertà lo portò tra il 1923 e il 1939 a svolgere il suo ministero tra le baracche dei quartieri periferici parigini Gentilly e Villejuif. Fu nominato da Papa Ratti protonotario apostolico e in tale veste prese parte a molte missioni in diversi Paesi del mondo: viaggiò in Africa e in America latina, si recò in Giappone e in occasione dei congressi eucaristici fu tra l’altro anche a Sydney, Dublino, Buenos Aires, Manila e Budapest.

Fonte: Kairos: Principe per nascita, mendicante per amore.

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