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Potrebbe sembrare una ricetta a cavallo tra il libro dei desideri e un’utopia impossibile. A ripercorre i discorsi di Benedetto XVI in Libano, in particolare quello di ieri mattina alle istituzioni politiche, religiose e culturali libanesi, la pace sembrerebbe una cosa facile.Lì, quasi a portata di mano. Il suo ragionamento non fa una piega, come si usa dire; ma perché, allora, laggiù, in Medio Oriente, appare impossibile. Perché si combatte, si soffre, si muore? Perché? E davvero, come dice il Papa, il “modello libanese” – dove pure una crudele guerra civile mostra ancora le sue tracce recenti – è un qualcosa di esportabile, di attuale, di applicabile nella realtà di un’area in ebollizione come mai prima?Papa Ratzinger ci ha abituato ai suoi “perché” scomodi, alle sue domande stringenti, agli interrogativi che scavano l’anima. Ma considerare le sue risposte come i sogni di un Papa anziano e fuori della realtà, di un prete, in fondo, che fa il suo mestiere di chiamare a una “vita buona”, significa non conoscere la realtà di quella terra per noi così vicina e così lontana, o volerla ignorare. Quella realtà che il Sinodo del 2010, dedicato al Medio Oriente, seppe raccontare tanto e bene, cogliendo aneliti ancora invisibili ai più, e che Benedetto XVI ha fatto suoi e ulteriormente attualizzato in un’Esortazione apostolica – questa che va oggi a consegnare ai popoli di una regione tanto tormentata – che davvero si rivolge a tutti.§A Ratisbona, nel 2006, in uno dei suoi discorsi più importanti – e sicuramente il più frainteso – il Papa aveva sollecitato il mondo occidentale a un recupero vero, anche razionale e positivamente laico, delle proprie radici cristiane, passaggio indispensabile in questo terzo millennio, soprattutto dopo l’11 settembre, per potersi confrontare con un islam chiamato dalla storia a confrontarsi, a sua volta, con la modernità. Esattamente sei anni dopo, qui a Beirut, è andato oltre. E lo ha fatto, come sempre, rifiutando l’affermazione della dimensione “confessionale”, ma calcando l’accento sulle giustificazioni “naturali” di quel dialogo tra fede e ragione che, nella sua visione, è il momento imprescindibile per la crescita dell’uomo, della società, della convivenza nel suo insieme.

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