La Corte Costituzionale, la fecondazione eterologa e la concezione di famiglia: dono o capriccio ? | studio legale Martini Fanti & Partnersstudio legale Martini Fanti & Partners

C’era da aspettarselo. Purtroppo.

C’era da aspettarselo. Purtroppo.

Con la sentenza n. 162 del 9 aprile 2014  la Corte Costituzionale (così composta dai signori giudici: Presidente: Gaetano SILVESTRI; Giudici : Luigi MAZZELLA, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO) ha sostanzialmente legittimato il ricorso alla fecondazione eterologa.

Era uno degli ultimi baluardi della legge 40/2004 in materia di procreazione medicalmente assistita, quello, cioè, posto a salvaguardia della c.d. identità e tutela psicologica degli embrioni nel loro progressivo e naturale evolversi a feti e poi bambini. Figli di genitori maggiorenni sposati, o quanto meno stabilmente conviventi e di sesso diverso. Questi ultimi infatti erano i principi posti a sostegno di una p.m.a. sufficientemente “sana” per quanto implicante l’intervento (talvolta) sostitutivo della clinica all’atto di amore – dono gratuito coniugale.

Il principio in sostanza, sanciva il divieto di utilizzare gameti esterni alla coppia (ad esempio, sperma di un donatore, oppure ovociti di una donatrice esterna) per evitare di generare “figli – non figli” di uno dei due partner.

Per un misterioso quanto inquietante segno del destino, negli stessi giorni in cui la notizia della sentenza veniva comunicata dall’ufficio stampa della Consulta e divulgata attraverso i media, si verificava il caso particolarissimo (oggi, in quanto un domani potrà dirsi ordinario) di una donna che per errore aveva subito l’impianto di gameti relativi ad un’altra coppia. E proprio oggi che scrivo, un altro caso, questa volta rivelatosi falso.

Nel mercanteggio dei gameti, si era verificato l’imprevisto, un errore. Si è così assistito, alla prima fattispecie di “utero in affitto, di fatto” generato da un errore. Di chi sarà figlio il nascituro ? Della legittima “proprietaria” dei gameti ? O di colei che per 9 mesi lo crescerà in utero ?

E’ un dramma incredibile, per la vera madre, per la partoriente e per il padre che, capovolgendo un antico brocardo, in casi come questo semper certum est …

Ritorniamo alla ennesima terribile pagina di storia scritta dalla Corte Costituzionale.

Il copione è già noto: coniugi che si rivolgono a strutture chiedendo l’eterologa. Strutture che “devono” negarla. Azione legale promossa da questi coniugi supportati da fior di avvocati e di associazioni di contorno (Associazione Luca Coscioni con gli onnipresenti avvocati Filomena Gallo e Gianni Baldini, ed altre …). Dunque difesa agguerritissima da un lato, dall’altro, mera difesa di Stato. Medici e cliniche che si schierano in difesa, a fianco delle coppie di coniugi (e ci mancherebbe … parliamo di soldi, mica di scienza). Cause “finte” ? Cause “pilota” ? Non lo sappiamo, ma non sarebbe una novità nel nostro sistema giuridico specie su temi bioetici sensibili ove occorre creare il precedente, ancor prima che affermare un diritto indagandone la sua vera natura e portata.

LE POSIZIONI E LE ISTANZE DEI VARI GIUDICI RIMETTENTI ALLA CONSULTA

I giudici rimettenti alla Consulta, individuano un fiume di norme asseritamente violate dall’art. 4 co. 3 l. 40/2004 (divieto di eterologa appunto).

Si va dagli articoli 2-29-31 per supposto contrasto con il diritto alla piena realizzazione della vita privata e familiare ed autodeterminazione delle coppie affette da “sterilità o infertilità irreversibile” (con ciò dimostrando di nemmeno conoscere la differenza che passa tra il concetto di sterilità – ossia incapacità a procreare dopo un anno ininterrotto di rapporti potenzialmente fecondanti – e quello di infertilità – ossia incapacità di portare a termine una gravidanza a concepimento avvenuto), alla violazione degli articoli 3 e 31 per supposto trattamento uniforme di situazioni diversificate dal punto di vista fattuale e giuridico.

Incredibile, l’argomento – slalom usato per sostenere la violazione degli artt. 2-29-31 Cost. In sostanza, poiché gli articoli 29 e 2 (?) garantiscono il diritto di “farsi una famiglia” e l’art. 30 quello di tutelare e proteggere la prole, orbene ciò implicherebbe a monte la tutela della finalità “procreativa” del matrimonio. Beh, che dire ! Intanto “benvenuta” alla finalità procreativa del matrimonio tanto avversata da certe correnti estremiste e ideologiche (anche di matrice femminista). In ogni caso, va osservato, che tutelare la “finalità procreativa” del matrimonio non significa certo produrli, i figli. E ancor meno produrli sempre, comunque, e indistintamente. Sarebbe come dire che scardinato il divieto di eterologa, in caso di altri “impedimenti” alla procreazione, si potrebbe passare diretti alla maternità surrogata, a soppiantare il divieto di ectogenesi e perché no … alla clonazione. In fondo, è un diritto al figlio “per rendere felice una famiglia”.

I giudici rimettenti affermano che lo scopo della legge 40 sarebbe quello di risolvere i problemi dell’infertilità o sterilità (ancora generalizzando) mediante il ricorso alla p.m.a. … Certo, i giudici citano quasi a memoria la prima parte dell’art. 1 della legge 40 / 2004 omettendone però totalmente la seconda … “alle condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito“.  Si parla di tutela di “TUTTI” i soggetti coinvolti ivi compreso il concepito.

E’ dunque tutela del concepito, quella di attribuirgli un genitore fittizio, mentre quello reale, biologico, rimarrà o dovrebbe rimanere per sempre celato ? E’ tutela piena del suo status anche psicologico ? E’ tutela piena di una famiglia in cui il padre, o la madre, sa che il bambino concepito in realtà non è il proprio ? Siamo certi che tale fattore non incida nel delicatissimo aspetto relazionale che caratterizza l’andamento e la stabilità di una coppia ? La Consulta avrà considerato tali fattori ? Procediamo nella disamina …

I giudici a quo richiamano peraltro l’istituto dell’adozione per supportare le proprie tesi. Quasi banale menzionare la voragine di divergenze (a proposito di una lettura in senso sostanziale dell’art. 3 della Cositituzione) che passa tra una coppia che si dona, e dona una famiglia in senso educativo e di appartenenza ad un figlio che già esiste, ad una coppia che pur di soddisfare il desiderio egoistico di avere un figlio, ricorre ad ogni possibile rimedio (oggi l’eterologa. Un domani ?)

Un altro tribunale rimettente, invero, utilizza questo argomento per sostenere l’istanza alla Consulta: “quanto, invece, al diritto del nascituro alla conoscenza della propria origine genetica, benché la tutela del concepito rinvenga fondamento costituzionale negli artt. 31, secondo comma, e 2 Cost., alla stessa non potrebbe essere data prevalenza totale ed assoluta, non esistendo «equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare» (sentenza n. 27 del 1975)“. Rileggiamo con calma: dunque, la tutela del concepito, trova fondamento costituzionale (artt. 31 e 2 Cost.). Tuttavia questo diritto confliggerebbe e soccomberebbe rispetto al diritto alla vita e alla salute di chi già persona è, come la madre. Due note: ma perché di fronte all’impossibilità di avere un figlio sarebbero in pericolo la vita e la salute della madre ? Non era questo un argomento utilizzato per il tema dell’aborto ? No, non ci siamo, le argomentazioni dei giudici rimettenti sono ancora del tutto nebulose e prive di senso logico. Poche righe dopo infatti, il giudice corregge il tiro: il diritto a farsi una famiglia e ad avere dei figli da parte di soggetti esistenti come persone (ma il diritto “ad avere dei figli”, non è equiparabile al diritto a farsi una famiglia, e come tale non esiste nell’ordinamento !) prevarrebbe rispetto ad “entità che ancora persona in senso pieno non è”. Tale supponente e apodittica affermazione lascia di stucco, se non altro perché nessuno ha mai risposto a questa domanda: se l’embrione è essere umano, perché non è persona ? Posto e considerato che peraltro l’art. 1 della legge 40 ne assicura la tutela sin dal concepimento ?

I giudici a quo affermano poi che la eventuale caducazione delle norme che vietano l’eterologa, non comporterebbe un vuoto normativo in quanto vi sarebbe la riviviscenza delle pregresse circolari ministeriali che la regolamentavano, ovvero anche negando l’ammissibilità di detta reviviscenza, la disciplina applicabile sarebbe desumibile dal d.lgs. n. 191 del 2007, dal d.lgs. n. 16 del 2010 e dall’Accordo del 15 marzo 2012 tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano sul documento concernente «Requisiti minimi organizzativi, strutturali e tecnologici delle strutture sanitarie autorizzate di cui alla legge 19 febbraio 2004, n. 40 per la qualità e la sicurezza nella donazione, l’approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di cellule umane». Peccato, solo, che le cellule umane di cui parliamo sono destinate ad incontrarsi e a generare un uomo, non certo a ricostruire una parte di pelle ustionata o ad altre finalità terapeutiche ed eticamente neutre. Anche qui, i giudici mostrano di non comprendere appieno la portata delle istanze portate alla Consulta.

 LA DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Come è noto, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che vietano la fecondazione eterologa.

Cerchiamo di capire perché e sulla base di quale percorso logico e argomentativo.

Intanto, i riferimenti normativi. Secondo la Consulta, nel merito, le questioni sollevate sarebbero fondate in riferimento agli artt. 2, 3, 29, 31 e 32 Cost. 

La P.M.A., motivano i giudici, concerne vari aspetti e ranghi di rilievo costituzionale, tutti tra loro comparabili e da comparare. Si toccherebbero varie questioni eticamente sensibili, tutte afferenti il tema della dignità della persona umana. Occorre per i giudici della Consulta, verificare se il legislatore abbia compiuto (come gli spetterebbe) un corretto bilanciamento dei vari valori in gioco.

Intanto per liberare il campo da equivoci e preparare il terreno, la Corte esordisce affermando che il divieto di eterologa non è un principio consolidato nel tempo, posto che prima del suo intervento vari centri ginecologici privati l’applicavano, ben settantacinque. Il ragionamento appare francamente assai sterile: prima del 2004 non vi era una legge sulla p.m.a. dunque, non poteva esservi un divieto di fecondazione eterologa. Una volta non vi era il divieto di fumare nei locali pubblici. Oggi c’è ed è regolamentato. Nessuno lo pone in discussione, ma fumare, resta pur sempre un diritto (delimitato, ma sempre diritto è).

Tuttavia, sono le affermazioni del punto successivo che lasciano stupefatto chiunque sia dotato di un minimo senso logico. Le riportiamo testualmente chiedendo al lettore di leggerle con attenzione, posto che contengono affermazioni assolutamente contraddittorie e financo prive di compiutezza e di radicamento nel nostro ordinamento giuridico: “Deve anzitutto essere ribadito che la scelta di tale coppia di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, libertà che, come questa Corte ha affermato, sia pure ad altri fini ed in un ambito diverso, è riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost., poiché concerne la sfera privata e familiare. Conseguentemente, le limitazioni di tale libertà, ed in particolare un divieto assoluto imposto al suo esercizio, devono essere ragionevolmente e congruamente giustificate dall’impossibilità di tutelare altrimenti interessi di pari rango (sentenza n. 332 del 2000). La determinazione di avere o meno un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile o infertile, concernendo la sfera più intima ed intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali, e ciò anche quando sia esercitata mediante la scelta di ricorrere a questo scopo alla tecnica di PMA di tipo eterologo, perché anch’essa attiene a questa sfera. In tal senso va ricordato che la giurisprudenza costituzionale ha sottolineato come la legge n. 40 del 2004 sia appunto preordinata alla «tutela delle esigenze di procreazione», da contemperare con ulteriori valori costituzionali, senza peraltro che sia stata riconosciuta a nessuno di essi una tutela assoluta, imponendosi un ragionevole bilanciamento tra gli stessi (sentenza n. 151 del 2009). Va anche osservato che la Costituzione non pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli (come è deducibile dalle sentenze n. 189 del 1991 e n. 123 del 1990). Nondimeno, il progetto di formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli, anche indipendentemente dal dato genetico, è favorevolmente considerata dall’ordinamento giuridico, in applicazione di principi costituzionali, come dimostra la regolamentazione dell’istituto dell’adozione. La considerazione che quest’ultimo mira prevalentemente a garantire una famiglia ai minori (come affermato da questa Corte sin dalla sentenza n. 11 del 1981) rende, comunque, evidente che il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa. La libertà e volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori e di formare una famiglia, nel senso sopra precisato, di sicuro non implica che la libertà in esame possa esplicarsi senza limiti. Tuttavia, questi limiti, anche se ispirati da considerazioni e convincimenti di ordine etico, pur meritevoli di attenzione in un ambito così delicato, non possono consistere in un divieto assoluto, come già sottolineato, a meno che lo stesso non sia l’unico mezzo per tutelare altri interessi di rango costituzionale.

Procediamo, anche in tal caso, con ordine. Tre sono i temi centrali che vorremmo porre in evidenza a fronte delle affermazioni sopra riportate:

1) il diritto a formare una famiglia c’è, esiste. E’ tutelato dall’ordinamento e ben venga, che sia tutelato dall’ordinamento (purtroppo, sempre più spesso, solo sulla carta). Ma il diritto alla famiglia, la Costituzione, o qualsiasi altra legge dello Stato, non lo ha creato bensì lo ha “riconosciuto” e “tutelato” in quanto già sussistente. E’ un diritto naturale (art. 29 Cost.: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia “).

2) Il diritto ad avere dei figli invece, non esiste. E’ un’invenzione di sana pianta che non trova alcuna sponda costituzionale, tanto meno nel diritto all’autodeterminazione, e tanto più che la stessa Consulta è costretta poche righe dopo averlo affermato, a ritornare sui propri passi, negando la sovrapponibilità tra il diritto a costituire una famiglia e il (supposto) diritto ad avere dei figli. Certo l’infanzia e i figli (nati) sono tutelati e si cerca di tutelarli proprio in quanto soggetti più deboli e fragili in ogni ambito. Ma un conto sono i diritti “dei figli”. Ben altro, il diritto “ad avere” dei figli. Il diritto ad avere dei figli, duole dirlo, ma è così, nasce con il progredire della tecnica, per dare un figlio a chi non può averlo naturalmente. Da questo momento (e non prima) il figlio passa dallo status di “dono gratuito” (avuto, ottenuto, desiderato, cercato, ma sempre dono è e resta) a “diritto”. E il diritto, concernendo (lo dice la stessa Consulta) la sfera più intima, privata, delicata, incoercibile, non può darsi senza limiti ma deve essere adeguatamente regolato e bilanciato. Anche perché ad un diritto, corrisponde un dovere. Dunque, non può essere un diritto assoluto, specie quando pone in relazione più soggetti (genitori e concepito).

3) La Consulta torna a porre centralmente il tema “adozione” affermando che tale istituto, sostanzialmente, legittimerebbe una “familiarità” non genetica. Questo ragionamento non regge affatto. Nel caso dell’adozione è vero, il rango di interessi costituzionali da tutelare fa sì che lo status genetico, sia posto in secondo piano rispetto all’esigenza prioritaria del soggetto più indifeso (il bambino) a crescere all’interno di un contesto familiare. E una famiglia (con o senza figli “propri”) può liberamente autodeterminarsi ed aprirsi alla vita, sino al punto di accogliere un bambino (che già c’è ma che non è biologicamente derivato dall’unione carnale degli adottanti che si prodigheranno ad un apporto amorevole, pedagogico ed educativo). In tal caso si tratta di dare una famiglia ad un bambino, non di soddisfare il “diritto” della coppia ad “avere un figlio” facendolo artificialmente con gameti esterni. Sicché, ciò che appare francamente “sterile”, è il ragionamento della Consulta che “sdogana” l’eterologa utilizzando strumentalmente ed impunemente, l’assai importante e nobile istituto dell’adozione (tanto che, l’adozione di un figlio, non è un passaggio semplice e indolore, ma assai rigidamente regolamentato. Ci sarà un motivo, anzi, più d’uno …).

Ma procediamo spediti.

La Consulta, menziona il diritto alla salute, affermando che “l’impossibilità di formare una famiglia con figli insieme al proprio partner, mediante il ricorso alla PMA di tipo eterologo, possa incidere negativamente, in misura anche rilevante, sulla salute della coppia“. Afferma altresì che “Non si tratta di soggettivizzare la nozione di salute, né di assecondare il desiderio di autocompiacimento dei componenti di una coppia, piegando la tecnica a fini consumistici, bensì di tenere conto che la nozione di patologia, anche psichica, la sua incidenza sul diritto alla salute e l’esistenza di pratiche terapeutiche idonee a tutelarlo vanno accertate alla luce delle valutazioni riservate alla scienza medica, ferma la necessità di verificare che la relativa scelta non si ponga in contrasto con interessi di pari rango”. 

Proprio in ragione di ciò, vorremmo affermare che in tale contesto di tutto si parla, ma si dimentica un aspetto fondamentale: la tutela della salute psichica del nascituro (perché evidentemente, degli uomini che giudicano un dato presente, ossia i genitori, e non il frutto in divenire che essi desiderano ad ogni costo, ossia il figlio, sembrano invero molto, troppo, assolutamente parziali, riduttivi, generici). Inoltre, si dimentica la tutela della salute psichica del padre, il quale, coniugato o non, sa perfettamente che il frutto del concepimento nel ventre della propria moglie o compagna, è avvenuto per il tramite di un terzo donatore. Ma il figlio, un domani ci sarà. Sarà visibile. Con tratti somatici, caratteriali, in gran parte acquisiti certamente dal contatto con la realtà circostante, in primis  la genitrice e il di lei marito / compagno ma biologicamente acquisiti dal donatore di gameti. E’ un dato drammaticamente vero, ma sempre, fin troppo sottinteso. Tuttavia, definitivamente scolpito nella mente e nel cuore di quell’uomo, che guarda quel … bambino.

Anche in tal caso, ogni paragone con l’istituto adottivo appare grossolano e assai privo di pregio per non dire svilente rispetto alla profondità dei veri fattori in gioco. E’ evidente che un conto è dirsi parti (entrambi) di un progetto di aiuto e dono a favore di un bimbo che si sa estraneo al proprio patrimonio genetico. Totalmente estraneo alla propria biologia, quanto totalmente amato e inglobato nell’alveo e nel ventre simbolico della famiglia adottiva che lo accoglie come dono. Altra cosa è dirsi parte parziale e solitaria, di questo nucleo e di questo progetto. Ancor più solitaria e isolata, di quanto già lo è un padre (omologo) rispetto alla naturale simbiosi madre – figlio tendente naturalmente ad escludere ogni estraneo, e il primo estraneo è l’uomo – marito – padre, che nei primissimi mesi, deve mettersi da parte e attendere, osservare. Diverso è osservare in paziente e gioviale attesa ciò che conosci e hai conosciuto come tuo sangue, tue cellule, dall’osservare ciò che è sangue e cellule della tua partner e di un altro uomo. E’ brutale, ma questo è il dato veritiero in cui l’uomo accecato dal desiderio del figlio, prima, si viene a trovare quando il figlio c’è. Altro che adozione !

Di tutto ciò, la Consulta non tiene minimamente conto.

Prosegue, invece, cercando di acquietare i pensieri di chi già ben intuisce la deriva secondo lo schema classico teorico del piano inclinato: una volta aperto all’eterologa, via alla maternità di sostegno (alias utero in affitto, in linguaggio politically correct), all’eugenetica a tutto spiano, alla clonazione, alle chimere ecc. ecc. No la Consulta ci rasserena (poco): “La tecnica in esame va rigorosamente circoscritta alla donazione di gameti e tenuta distinta da ulteriori e diverse metodiche, quali la cosiddetta «surrogazione di maternità», espressamente vietata dall’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004, con prescrizione non censurata e che in nessun modo ed in nessun punto è incisa dalla presente pronuncia, conservando quindi perdurante validità ed efficacia“. Come a dire: aspettiamo che qualcuno lo censuri l’art. 12 comma 6 e poi ne riparleremo.

No, evidentemente l’argomentare della Corte non tranquillizza e continua a non convincere affatto laddove con un condizionale e una formula sminuente, che di fatto già introduce alla decisione finale, afferma che “L’unico interesse che si contrappone ai predetti beni costituzionali è, dunque, quello della persona nata dalla PMA di tipo eterologo, che, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, sarebbe leso a causa sia del rischio psicologico correlato ad una genitorialità non naturale, sia della violazione del diritto a conoscere la propria identità genetica”. Già, l’unico (posso aggiungere “patetico” ?) interesse sarebbe quello della persona nata e del suo assetto psicologico … per carità, sciocchezza, rispetto ai desiderata di babbo e mamma. Ma conteniamoci e procediamo con ordine e rigore.

Intanto, la Consulta afferma una cosa vera: non è che la declaratoria di incostituzionalità, in automatico, farà rivivere le prassi amministrative e mediche anteriori. Dunque alcuna reviviscenza, bensì un vuoto normativo di fatto.

Quindi occorre proprio entrare nel merito e vedere, capire, se l’interesse psicologico del nascituro interessa o no, a questi giudici – legislatori.

E ritorniamo al famoso bilanciamento di interessi e al minimo di tutela costituzionale salvaguardabile per i medesimi interessi. Dunque “l’illegittimità del divieto in esame, esclusivamente in riferimento al caso in cui sia stata accertata l’esistenza di una patologia che sia causa irreversibile di sterilità o infertilità assolute”. E fin qui, è quasi un’ovvia minima decenza direi. Ma ancora non capisco e il lettore non capisce, dove sia e quando si esaminerà l’interesse psicologico del nascituro poc’anzi chiaramente richiamato anche dalla stessa Corte.

Tuttavia, proseguendo, scorgiamo un altro passaggio che cogliamo con favore: l’illegittimità dell’eterologa non intacca i parametri soggettivi della legge in quanto i genitori devono essere e restare maschio e femmina maggiorenni, anche nel caso di eterologa. Un altro “tranquillante” per i pro life, che certo reggerà sino al prossimo ricorso alla Consulta…

A questo punto, la Consulta, inizia a “giocare di fino” per scardinare l’ultimo grimaldello, ossia quello della tutela del figlio. E lo fa, partendo dal recente dato normativo novellato in tema di “filiazione” laddove si afferma che secondo la “nuova concezione“, il marito è padre del figlio concepito o nato durante il matrimonio (mentre nella vecchia dizione era padre del figlio concepito – e basta – durante il matrimonio). Dopo di che, basta intervenire chirurgicamente sui commi 1 e 3 dell’art. 9 della legge 40 e il miracolo è compiuto: il papà non biologico, non potrà più “disconoscere” il figlio nato da eterologa. Beh, allora, tutti tranquilli, anche il figlio: papà non gli farà mai causa per disconoscerlo.

Bene, accertato che il babbo non biologico non disconoscerà mai il figlio (per legge no, non lo farà mai …) vediamo se il figlio verrà mantenuto “al riparo” dal (sacrosanto) diritto di conoscere le sue vere origini … perché è chiaro che questo è un suo diritto “naturale” giusto ?

Il punto è che nemmeno la legge di Stato è blindata sul punto. I giudici devono ammettere che già la Consulta era intervenuta sullo status dell’adottato e aveva affermato che il mantenimento del “segreto” sull’origine da madre non menzionata alla nascita, non aveva più ragione d’essere, dunque, il legislatore doveva intervenire per disciplinare la materia. In quanto non è detto che dopo venti, trent’anni, una madre voglia ancora mantenere l’anonimato (sentenza 278/2013).

Insomma, prosegue la Corte, nel “bilanciare” gli interessi in gioco, uno di essi è rimasto troppo “compresso”. Si indovini quale giunti a questo punto: “Il divieto in esame cagiona, in definitiva, una lesione della libertà fondamentale della coppia destinataria della legge n. 40 del 2004 di formare una famiglia con dei figli, senza che la sua assolutezza sia giustificata dalle esigenze di tutela del nato, le quali, in virtù di quanto sopra rilevato in ordine ad alcuni dei più importanti profili della situazione giuridica dello stesso, già desumibile dalle norme vigenti, devono ritenersi congruamente garantite“.

E l’integrità psicologica del nascituro citata prima ? Dov’è finita ? E’ stata adeguatamente “bilanciata” o è scomparsa dal piatto della bilancia ? Dobbiamo ricordare che  sull’identità del concepito si verificano le conseguenze più gravi di tutta la vicenda c.d. eterologa.

Si ha un bambino che ha un’identità biologica che non coincide con quella sociale. Ognuno ha diritto di sapere di chi è figlio. Una volta comunicata (anche per errore) al soggetto nato da Fivet eterologa la sua origine, questo fatto non potrà non determinare una difficoltà di rapporto con i genitori, uno dei quali putativo. E’ assolutamente acclarato che la fecondazione artificiale eterologa lede i diritti del figlio privandolo della relazione filiale con le sue origini parentali potendone ostacolare la maturazione dell’identità personale (B.Z. Sokoloff Alternative methods of reproduction, Clinical Pediatrics, 1987, 26, 1, pp. 11-17; P. Vercellone, Children’s Rights and artificial procreation, Medicine and law, 1995, 14, pp. 13-22; A. Mc Whinnie, A study of parenti of IVF and DI Childen, Medicine and law, 1995, 14, pp. 501-508).

Questa esigenza, quella di conoscere le proprie origini, viene in effetti riconosciuta anche a livello giuridico, da molti ordinamenti che hanno legiferato sulla materia richiedendo l’istituzione di registri centralizzati da cui attingere notizie – anche generiche – nel caso in cui il figlio ne faccia richiesta. Non sembra nemmeno fuori luogo, a questo punto, citare “Generation Cryo“, ossia quel format televisivo in cui dei figli nati in provetta si mettono sulle orme delle proprie origini per scovare fratelli, genitori, parenti …

Senza poi citare, i casi più intricati che si verificano in quegli ordinamenti (citati implicitamente dalla Consulta come “più progrediti e avanzati”) in cui addirittura si fa ricorso alle banche degli embrioni (non del seme) e così laddove si trasferiscono embrioni di padri premorti (i c.d. “figli dell’aldilà”) o di padre “donatore” morto con embrioni vivi ed esistenti, di fatto orfani.

Si trascurano poi del tutto le conseguenze eventuali di ordine sanitario della fecondazione in vitro eterologa per effetto del congelamento e disgelo dei gameti maschili. Ricordiamo, che infatti varie sono le tecniche di procreazione assistita. Si va dalla  Low Tubal Ovum Transfer (LTOT), alla inseminazione artificiale (IA), alla Gamete intra Fallopian Transfer (Gift), alla vera e propria Fivet, sino all’incredibile (e più che mai artificiale e inconcepibile)  Infracitoplasmatic sperm injection (Icsi). Tutte tecniche diversificate che però, generalmente, implicano sempre l’utilizzo di gameti maschili appena prodotti e non crioconservati.

Questo invece, generalmente non avviene e non avverrà per l’eterologa ove massiccio sarà il ricorso alla banca del seme (magari, alla banca del seme esclusiva dei “premi nobel”, davvero esistita in California ed oggi fallita, chissà perché … come se premi nobel si diventasse a venticinque anni e non a settantacinque, con una qualità spermatica non certo “vivacissima”).

Insomma, la Consulta di tutto ciò non tiene minimamente conto e, credendo di bilanciare non si comprende bene quali “interessi” ha generato il “diritto al figlio assoluto e ad ogni costo” anche ove la natura, di fatto, lo impedirebbe.

Ha vinto l’uomo ? Ha vinto la natura ? Ha vinto la ragione ? A me non spetta giudicare (ma criticare pesantemente, sì). A nessuno di noi, credo spetti giudicare.

Spetterà ai figli nati dall’eterologa il giudizio ultimo: quando cercheranno le loro origini; quando quegli occhi azzurri e capelli biondi rivendicheranno un legittimo “da dove vengo”; quando i padri, magari separati, romperanno davvero e senza minimo indugio (tanto oggi c’è il divorzio breve) ogni forma di possibile e minimale legame con il nucleo familiare estraneo che permane nella casa coniugale; quando questi figli, magari fratelli consanguinei inconsapevoli si incontreranno … si ameranno … inconsciamente, genereranno figli a loro volta.

                          articolo postato da Avv. Filippo Martini

Fonte: La Corte Costituzionale, la fecondazione eterologa e la concezione di famiglia: dono o capriccio ? | studio legale Martini Fanti & Partnersstudio legale Martini Fanti & Partners.

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