La crisi siriana 2 – Il confronto con la guerra di Libia

Sarebbe lungo parlare della distorta concezione del diritto internazionale che si crea adottando questa ipocrita linea interventista, per cui le prove un po’ ci sono, ma molto si enfatizzano e si distorcono i fatti. Quartieri delle principali città siriane sono ricostruiti in Qatar per i servizi TV di propaganda e per infoltire così le file degli oppositori. Con questi mezzi e con la omissione di tante notizie, il sostegno ad un intervento che rimuovesse l’attuale governo contro la volontà dei cittadini è diventato, mano a mano, consuetudine, perché non trova l’opposizione ed un giudizio chiaro da parte di nessuno.

L’opinione pubblica ha infatti dimostrato una incapacità di giudizio personale: uno sguardo autenticamente religioso, cioè capace di guardare innanzitutto all’uomo e alla sua dignità. E’ evidente che da qualsiasi parte venga e qualunque sia la bandiera, questo modo di concepire il rapporto tra Stati e il rapporto tra popoli, non può mai portare ad alcuna liberazione.

In un contesto di crisi, che è soprattutto crisi antropologica, l’allineamento dei “nostri” giornali cattolici con il “potere” è grande: per giudicare gli avvenimenti i cristiani si basano sullo sguardo di chi è più grande nella fede: come metodo e come tradizione. Così tutti si sono affidati ai propri organi di informazione, quelli che noi consideriamo “nostri”.

D’altra parte la maggior parte degli italiani, prima della rivolta siriana sapeva vagamente anche della stessa esistenza della Siria. Poi è scoppiata la protesta organizzata e sostenuta dall’esterno. La protesta partiva dal dato di un malcontento reale. Il pervasivo controllo poliziesco, la corruzione nella società siriana erano grandi, ma il fine di chi ha preso le redini della rivolta, ben presto armata, era un altro: era la caduta del regime di Assad e non un genuino desiderio di riforme; non una transizione democratica verso un sistema più pluralista, ma l’intraprendere una strada così da provocare un cambio violento di gouvernement che rispondesse a esigenze soprattutto esterne alla società siriana.

Abbiamo considerato la crisi siriana come il naturale proseguimento della primavera araba. Intorno alla vicenda siriana si è scatenata una disinformazione pari solo al caso libico. Si è fatto leva su una mentalità forgiata dai mezzi di informazione e perseguita soprattutto dal potere.

L’estrema dipendenza dalla mentalità comune, allineata, assuefatta e inconsapevolmente cinica, è confutata da un fatto recente eloquente: quello della Libia. Una campagna mediatica si era scatenata intorno agli “atti disumani” del regime libico, salvo poi riproporli sotto altra bandiera e facendo sprofondare il Paese nella miseria più cupa. Oggi avvengono in Libia atti altrettanto disumani. Le torture, le detenzioni arbitrarie, i regolamenti di conti, la persecuzione del pensiero diverso sono diventati fatti abituali e sono ignorati, non indignano più nessuno. Non ci sollecitano.

Alla conoscenza di fatti terribili l’unica domanda seria sarebbe: «perché?» Questa domanda è però inesistente, sconosciuta, mai posta, per molti inopportuna, bannata dai commenti degli articoli on-line. Perciò ciò che leggiamo non ci muove, non ci cambia, non ci interessa.

Ma ci sono altri fattori disattesi e volutamente ignorati dalla stampa cattolica: quali sono veramente i fattori in gioco politicamente e, soprattutto, qual è la posizione della gente siriana? La storia delle persone non è mai raccontata; mai è raccontato il loro desiderio, il desiderio del loro destino.

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