La libertà religiosa negli attuali stati socialisti

Potrà sembrare anacronistico parlare, dopo la dissoluzione dell’Urss, la caduta del Muro di Berlino e la conseguente fine del predominio marxista su buona parte del globo, di caratteristiche riguardanti lo stato socialista, dato che la maggior parte di quei paesi, che mantengono almeno nominalmente dei richiami a tale ideologia, risultano essersi più o meno aperti all’economia di mercato.

Nonostante questo può essere interessante avere un prospetto su quali siano le condizioni di vita e la libertà dei cristiani in tali nazioni, senza voler entrare nel merito se queste rappresentino realmente, oltre che nominalmente, un esempio di stato socialista anche dal punto di vista della gestione economica. Gli stati che ad oggi si richiamano ancora al marxismo – leninismo (o ad un ideologia derivata da esso) sono la Corea del Nord, la Cina, il Vietnam, il Laos e ovviamente Cuba.

Nella Repubblica Popolare di Cina il Partito Comunista è al potere dal 1949, anno in cui la guerra civile tra Chiang Kai – Shek e Mao Tse – Tung si concluse con la vittoria di quest’ultimo. Nel paese è tutt’ora in vigore l’ateismo di stato, anche se l’art. 36 della Costituzione prevede teoricamente la libertà di culto e la messa al bando di ogni tipo di coercizione e intolleranza religiosa. Di fatto però il Partito Comunista ha sempre cercato di sottrarre la Chiesa Cattolica al controllo del Papa per porla sotto il suo, creando nel 1957 l’Associazione Patriottica Cattolica Cinese, una sorta di chiesa di stato partorita tramite l’Ufficio affari religiosi per controllare le attività dei cattolici cinesi. I vescovi ordinati dalle sue gerarchie cadono ipso facto nella scomunica.

I fedeli ed il clero cattolico che rifiutano questa forma di moderno cesaropapismo incorrono in severe condanne, è infatti dal 1949 che diversi sacerdoti e vescovi rimasti fedeli al Papa vengono condannati ai lavori forzati o al carcere. Inoltre la così detta “Chiesa sotterranea” (ossia la Chiesa fedele a Roma e disobbediente a Pechino) è considerata sovversiva e di fatto da un punto di vista legale essa non esiste sul suolo cinese, dovendo conseguentemente operare in clandestinità. Nonostante tutte le misure repressive la comunità cattolica è in crescita: stando ai dati forniti da AsiaNews dal 1980 vi sono circa 100mila battesimi in più ogni anno. D’altronde delle persecuzioni anti-cattoliche sotto l’attuale regime se ne potè già avere un sentore durante la Guerra Civile Cinese: emblematica fu la distruzione, da parte dei miliziani comunisti, della Basilica di Nostra Signora della Consolazione a Yangjiaping avvenuta nel 1947, a cui seguì la deportazione forzata dei monaci trappisti lì risiedenti che vennero costretti a marce forzate nel gelido inverno con mani e piedi legati col fil di ferro. Coloro che sopravvissero alla marcia vennero sottoposti a “processi” popolari (leggasi: farsa) e condannati a morte. Una volta sconfitto Kai – Shek venne imposto l’ateismo di stato, a cui si seguì la statalizzazione delle tre università cattoliche in territorio cinese, l’incarcerazione ed espulsione di molti missionari stranieri, la messa in atto DI una campagna ai danni di scuole ed orfanotrofi cattolici, la chiusura di seminari e conventi. Stando al rapporto della Laogai Research Foundation dal titolo “La persecuzione dei cattolici in Cina” “Nei quasi 1.500 laogai attualmente attivi, si presumono imprigionati da tre a sei milioni di persone, molti dei quali vi si trovano solo perché credenti”.  La sopracitata crescita della “Chiesa sotterranea” (“Nonostante la forte repressione, nella notte di Pasqua del 2007 migliaia di persone sono state battezzate. Nella sola Pechino alla Veglia Pasquale vi sono stati quasi mille battesimi di adulti”) ha impensierito il Partito Comunista, che tenta in ogni modo di reprimere la cosa temendo l’operato della Chiesa specialmente nell’ambito delle opere di carità, conseguentemente “[…] la perseguita; dall’altro offre per i buddisti e i cristiani le versioni controllate, “ufficiali”, delle “Chiese patriottiche” “. Episodio emblematico fu quello che riguardò Mons. Ma Daquin, Vescovo ausiliare di Shangai, che decise nel luglio del 2012 di esprimere pubblicamente la sua fedeltà al Papa e il suo conseguente abbandono dell’Associazione Patriottica, col risultato di venire rinchiuso nel seminario di Sheshan e privato per due anni della possibilità di comparire in pubblico.

Nella Repubblica Socialista del Vietnam, divenuta tale dal 1976, risiede un 10% di cattolici sui quali si è abbattuta una dura repressione da parte del Partito Comunista vietnamita dalla fine di quella guerra che vide contrapporsi da un lato il duo Vietnam del Nord – Cina Popolare e dall’altro Vietnam del Sud –  Stati Uniti d’America. Vennero imposte limitazioni alla libertà di culto dei cristiani, venne espulso il clero straniero e numerosi sacerdoti finirono internati nei campi di concentramento. Il regime impose inoltre un numero chiuso ai seminari e bloccò l’ordinazione di nuovi vescovi. Nguyen Van Ly, sacerdote vietnamita della Diocesi di Hue, subì più volte la detenzione a causa della sua battaglia per la libertà religiosa: dopo 14 anni trascorsi in carcere, a causa di una sua testimonianza scritta inviata alla Commissione internazionale per la libertà religiosa subirà una seconda condanna di 15 anni (della quale però ne sconterà solo 4 grazie ad un amnistia) nel 2001, mentre il 19 febbraio 2007 verrà per la terza volta incarcerato dopo un processo sommario della durata di 4 ore che culminò nella condanna a 8 anni.

In Corea del Nord, di fatto comunista (pur seguendo tale ideologia nella sua variante del Juche) dal 1946, la libertà di culto per i cattolici non è riconosciuta se non per l’Associazione Cattolica Joseon, una sorta di versione nordcoreana dell’Associazione Patriottica Cattolica Cinese. Durante la Guerra di Corea (1950 – 1953) le milizie marxiste scacciarono missionari, religiosi stranieri e cristiani coreani (ricorderei che nella prima metà del ‘900 i cattolici erano circa il 30% della popolazione di Pyongyang), tutte le chiese e i monasteri vennero distrutti mentre monaci e sacerdoti furono arrestati.  Risulta evidente che la finalità del regime nordcoreano (all’oggi considerato da diverse organizzazioni internazionali per i diritti umani uno dei regimi dove tali diritti vengono maggiormente infranti) sia stata quella di annientare la presenza cristiana nel paese. Vittima celebre del regime fu Mons. Patrick James Byrne, il delegato apostolico di stanza in Corea che venne inizialmente condannato a morte (nonostante non fosse cittadino coreano) anche se di fatto la sentenza fu commutata nell’imprigionamento a vita in uno Yotok (versione nordcoreana dei Gulag sovietici), nel quale morì dopo pochi mesi a causa delle privazioni e della fame. Negli anni seguenti alla fine della guerra una possente cortina, tipica dei regimi marxisti, calò sul paese rendendo impossibile avere notizie sui cristiani lì residenti, ed è infatti tutt’ora ignota la sorte dei 166 religiosi presenti in Nord Corea nel 1953. Ai giorni nostri il paese sancisce per legge l’ateismo di stato (pur non facendosi mancare né una sorta di istituzionalizzato culto idolatrico di Kim Il-Sung e Kim Jong-Il né quella statolatria tipica dei totalitarismi del Secolo Breve) anche se teoricamente la costituzione del 1998 garantisce la libertà religiosa. Però essa ai cattolici viene di fatto concessa solo in tre chiese autorizzate a Pyongyang e sotto l’egida della sopracitata Joseon, mentre stando ad un rapporto del 2010 stilato da Open Doors circa 8000 cristiani sono detenuti negli Yotok. Non si hanno più notizie di Mons. Francis Hong Yong-ho, indicato dagli annuari pontifici come Vescovo della capitale. Il possesso di una Bibbia è considerato fuorilegge e può comportare la condanna a morte, condanna che venne applicata il 16 giugno 2009 a danno di Ri Hyon-ok, cristiana 33enne, per aver fatto circolare delle Bibbie. Il 2 dicembre 1975 le forze comuniste di Pathet Lao presero definitivamente il potere nel Laos (che da quel giorno divenne Repubblica Popolare Democratica del Laos), appoggiati dai vietnamiti e dai sovietici. Sul piano teorico la costituzione laotiana garantisce la libertà religiosa per tutti i culti, ma su quello pratico, stando ad una nota dell’Ong Human Rights Watch for Lao Religious Freedom, essa viene spesso trasgredita dagli stessi funzionari civili in diversi distretti di provincia. Nel 2011 infatti 65 laotiani di fede cristiana vennero scacciati dai loro villaggi dalle autorità del paese a causa del loro rifiuto di abiurare il Cristianesimo. Eventi analoghi si ebbero nel dicembre e gennaio del 2010, e interessarono rispettivamente 7 e 11 famiglie.

 

A Cuba l’ateismo di stato è ufficialmente decaduto nel 1992 e nella sua nuova costituzione l’art. 55 afferma il diritto alla libertà religiosa. Bisogna ricordare però che nel periodo successivo alla Rivoluzione Cubana (1953 – 1959) che portò alla vittoria le armi di Fidel Castro vi furono delle limitazioni nei confronti del proselitismo e dell’attività religiosa, che nel 1961 i beni legati agli enti ecclesiastici vennero espropriati senza alcun tipo di risarcimento e che un vescovo e centinaia di sacerdoti vennero espulsi in maniera permanente. In tempi più recenti (il 2003 nella fattispecie) i vescovi cubani affermarono che tutto ciò che va oltre il semplice culto “si scontra con numerose limitazioni; un esempio è l´impossibilità, da parte dei genitori, di scegliere il tipo di educazione che desiderano per i propri figli” ricordando anche che “L´ufficio per gli affari religiosi del comitato centrale del partito comunista di Cuba controlla la vita e l´azione della Chiesa, dall´entrata nel paese di sacerdoti, religiosi e religiose necessari all´evangelizzazione, fino all´imposizione di restrizioni per l´acquisizione di mezzi utili nell´azione evangelizzatrice, come possono essere l´acquisto di computer, di materiale da costruzione per la riparazione di chiese, di attrezzature per la stampa, di mezzi di trasporto, ecc. La nostra conferenza episcopale detiene l´eccezionale primato di essere l´unica del continente, e forse del mondo, a non avere l´accesso a internet, e questa è solo una delle frequenti limitazioni che l´ufficio per gli affari religiosi ci impone” […] “Le difficoltà relative all´ingresso a Cuba di sacerdoti e religiose non dipendono da condizionamenti o priorità interne alla Chiesa ma dal fatto che qualsiasi richiesta è sottoposta al rigoroso e lento processo di approvazione da parte dell´ufficio per gli affari religiosi, che non sempre si conclude in modo favorevole alla Chiesa.” […] “Cuba oggi ha il minor numero di sacerdoti per abitante di tutto il continente americano”.

A conti fatti, si direbbe che un pieno rispetto della libertà religiosa per i cristiani di fatto non esista in nessuno degli stati che attualmente si rifanno (almeno da un punto di vista nominale) al marxismo o ad ideologie affini ad esso. Partendo da una situazione che risulta tutto sommato essere meno grave rispetto alle altre come quella di Cuba si arriva ad una totale privazione di tale diritto: dai persecuzioni della minoranza cristiana ad opera del regime cinese e nordcoreano (che sotto questo aspetto sembrerebbe essere il peggiore), passando attraverso le vessazioni più o meno gravi del Laos e del Vietnam.

Considerando tutto ciò  si possono quindi rileggere sotto un’altra ottica le condanne che nel corso della storia il Magistero della Chiesa inflisse al comunismo (per esempio nell’Enciclica Divini Redemptoris di Pio XI promulgata nel 1937, nella quale Papa Ratti lo definì “intrinsecamente perverso”), ossia non tanto come un tentativo di ingerenza ma piuttosto un adempimento del dovere della Chiesa di difendere la legge naturale, alla quale l’ideologia marxista è diametralmente opposta.

Federico Sesia

Fonte: La libertà religiosa negli attuali stati socialisti.

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