La libertà religiosa nel mondo islamico. I casi di Marocco e Tunisia

L’intellettuale tunisino Mohammed Charfi, nel suo saggio Islam et liberté. Le malentendu historique, commentando il versetto 256 della sura coranica La vacca che recita “Non c’è costrizione nella fede”[1], ha scritto:

“Con parole divine così chiare, ci si sarebbe aspettati che gli ulema costruissero una bella teoria della libertà di coscienza. Ma così non è stato. Al contrario, ci hanno trasmesso una serie di regole che attentano alla libertà di coscienza sia dei musulmani che delle genti del Libro e degli altri.”[2]

Dopo avere ribadito che il diritto islamico è un’elaborazione umana, una codifica nei secoli delle fonti del diritto, ovvero del Corano e della Tradizione, Charfi conclude che “per numerosi aspetti, la sharia è stata costruita dagli uomini, contro i principi coranici”[3]. Quanto alla libertà di culto sottolinea che “lo statuto islamico delle minoranze è complesso. E’ fatto di tolleranza, notevole per l’epoca, e di discriminazioni, inaccettabili oggi”[4]. Viene ribadita la triste condizione dei copti in Egitto che pur essendo presenti sul territorio da ben quattordici secoli prima della conquista islamica, si vedono attualmente costretti ad abbandonare il paese in quanto vittime di una persecuzione continua[5]. Ultimo, ma non meno importante, Charfi denuncia che “l’idea più disastrosa che hanno avuto gli ulema, la loro invenzione più orribile, e che è oggi la principale tara della sharia, è quella di avere eretto l’apostasia a infrazione punita con la punizione estrema, la pena di morte.”[6]

Ne consegue che nel mondo islamico la questione della libertà religiosa costituisca uno degli argomenti dirimenti nel dibattito circa il rapporto tra l’islam e i diritti umani. Sin dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, la libertà religiosa ha rappresentato uno degli scogli principali per la ratifica del documento da parte degli Stati a maggioranza islamica.

L’articolo 18 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo afferma che “ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti.”

Ebbene, già nel 1948 l’Arabia Saudita non aderì alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo ritenendola per molti aspetti in contrasto con i dettami dell’islam. Le motivazioni ufficiali di tale rifiuto sono state raccolte in un Memorandum del governo saudita dal quale emerge una posizione ultra-conservatrice nel rifiutare l’adesione al documento  internazionale:

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