La morte di Osama Bin Laden: strepitoso successo di Obama, grave sconfitta per gli Usa e per l’Occidente – Parte seconda

di Andrea Tedesco

A dispetto delle sue continue dichiarazioni sulla loro presunta moderazione, Obama è in realtà ben consapevole delle caratteristiche anti-occidentali, anti-americane, anti-sioniste e anti-cristiane dei Fratelli Musulmani, per la semplice ragione che le condivide pienamente.

A causa di questa condivisione, egli non è però preoccupato dal loro estremismo ritenendo erroneamente di poterlo ricondurre, proprio come nel suo caso personale, a una reazione all’imperialismo occidentale, invece che a un’aggressiva posizione ideologica radicata nel Corano.

Obama, infatti, è un entusiasta sostenitore della teoria della Jihad reattiva perché offre l’attraente possibilità di “disinnescare” il conflitto con la semplice rimozione del “detonatore” delle presunte offese e ingiustizie perpetrate ai danni dei musulmani da parte dell’America e dell’Occidente.

Nel suo tentativo di rimediare ai presunti errori americani e occidentali del passato e convincere così i musulmani che l’America non è in guerra con l’islam e vuole anzi essere sua amica, egli ha dovuto scegliersi interlocutori con credenziali in apparenza sufficientemente “moderate” per governare interi paesi ed essere accolti in America, e persino alla Casa Bianca e tra i suoi consiglieri di fiducia.

Paradossalmente, per “combattere” lo sparuto gruppo d’islamisti di Al Qaeda e le loro velleitarie mire egemoniche globali perseguite con metodi esclusivamente violenti, Obama sta consegnando il Medio Oriente, l’America e l’Occidente nelle mani dell’islam radicale, accelerando così la realizzazione dell’ambizioso progetto originale di Al Qaeda e degli altri islamisti.

Come conseguenza del sostegno militare o diplomatico, diretto o indiretto, della Casa Bianca, infatti, la Turchia si sta trasformando gradualmente, ma inesorabilmente, in una teocrazia islamica (le proteste di piazza di questi giorni sembrano confermare la deriva islamista), l’Egitto è nelle mani degli islamisti, che stanno consolidando il controllo del Paese inserendo i propri uomini in posizioni chiavi, in particolare tra i giudici, ultimo baluardo contro l’imposizione della sharia, la Tunisia segue a ruota, e forse in futuro anche la Siria si potrebbe unire al club dei regimi teocratici, se Obama decidesse di rifornire i ribelli islamisti di armi.
La Libia, destabilizzata dalla deposizione di Gheddafi, è a rischio di finire sotto il completo controllo di Al Qaeda e dei Salafiti che si sono impossessati di pericolosi lanciarazzi tecnologicamente avanzati appartenuti al precedente regime. Oggi i mujahedin li utilizzano per combattere anche in Siria, ma domani potranno rivolgerli contro Israele e l’Europa magari abbattendo qualche aereo di linea per aprire le danze. Al Qaeda è dunque sempre più forte nonostante, anzi proprio grazie all’uccisione del suo leader storico.

La rielezione di Obama, infatti, assicurata dall’eliminazione di Osama Bin Laden, ha garantito la continuazione delle politiche apertamente filo-islamiste della Casa Bianca.

Queste, a loro volta, hanno consentito ad Al Qaeda e a tutti i gruppi islamici di prosperare nella scia della deposizione dei regimi arabi filo-occidentali che una volta costituivano i principali freni alle loro attività.

Inoltre, tutte le organizzazioni islamiche stanno reclutando militanti con maggiore facilità del passato perché l’islam radicale appare ogni giorno di più come il cavallo vincente su cui i musulmani vogliono comprensibilmente scommettere. Come dimostrano i recenti attentati a Boston e Londra, Al Qaeda si sta espandendo non solo in Medio Oriente, ma anche in Occidente, dove riesce a reclutare agevolmente combattenti disposti a lanciare attacchi improvvisi e inaspettati senza dover sancire un’adesione formale all’organizzazione terroristica, cioè in modo indipendente e quindi più pericoloso perché più arduo da identificare e contrastare.

Nel comprensibile tentativo di trovare una spiegazione al comportamento apparentemente assurdo del presidente americano, si può cadere vittime della propaganda mediatica e dimenticare o ignorare l’appartenenza di Obama all’ala estrema della sinistra progressista, pacifista e terzomondista americana e mondiale. Si può allora essere tentati di formulare teorie dal vago sapore di complotto che attribuiscono a Obama una malvagità o sagacia geopolitica oltre le sue capacità, in modo per certi versi analogo a quanto accaduto nei confronti di Bush, accusato di aver ordito l’attacco dell’11/09/2001 per creare il casus belli contro l’Afghanistan.
Ad esempio, sfruttare la tradizionale distinzione Sunniti/Sciiti contro l’islam è un’idea intelligente. Allora, alla luce della crescente minaccia all’Europa che promana dalla sponda meridionale del Mediterraneo in fase di islamizzazione grazie al supporto americano, si potrebbe credere che Obama, astutamente, abbia voluto promuovere la crescita dell’islam sunnita non solo per contrastare quello sciita, ma anche per indebolire l’Europa, di cui gli Usa soffrirebbero, o potrebbero in futuro soffrire, la competizione in campo economico.

Il problema è che, sebbene la scissione all’interno dell’islam si presti ad essere utilizzata contro il nemico islamico, sarebbe meglio evitare la scelta di campo: se proprio fosse necessario schierarsi da una parte, sarebbe logico sostenere quella che pone minacce inferiori ai propri interessi e/o quella più debole.

I sunniti, da sempre potenzialmente più pericolosi per il livello di fanatismo e il numero di aderenti, sono oggi in drammatica ascesa, desiderano distruggere l’America, che, a differenza degli sciiti, hanno dimostrato di saper colpire duramente anche in territorio americano, si sono già infiltrati negli Usa e in tutto l’Occidente attraverso l’immigrazione e la rete delle moschee, e mostrano la loro riconoscenza per la deposizione dei dittatori mediorientali con attacchi contro gli interessi americani anche in Medio Oriente (Bengasi docet).
Gli sciiti, rappresentati dall’Iran, controbilanciano il potere e il pericolo sunnita con il perseguimento dell’arma atomica, che potrebbe far pendere l’ago della bilancia a loro favore. Nel contesto mediorientale, Israele gioca pertanto un ruolo fondamentale come elemento di stabilizzazione e principale freno alle pericolose tendenze egemoniche sia sunnite, sia sciite.

La scelta di Obama di sostenere l’islam sunnita per arginare quello sciita, invece di contare su un alleato naturale come Israele a questo scopo, sarebbe un grave errore strategico.
Tra l’altro, se Obama fosse consapevole della pericolosità dell’islam sunnita e, ciò nonostante, fosse così privo di scrupoli e preoccupato dalla crescente potenza economica europea, da scatenare i fanatici islamisti sunniti contro l’Europa, allora perché non neutralizzare il nemico europeo accelerandone la caduta nella mani dell’islam radicale sunnita, ponendo fine all’Alleanza Atlantica, chiudendo le basi militari e ritirando il contingente stanziato in Europa? E, soprattutto, perché aprire anche le porte degli Usa all’islam? Perché Obama si sarebbe spinto fino al punto di promuovere la diffusione dell’islam sunnita anche entro i confini del proprio paese allo scopo di indebolire l’avversario economico europeo già in grave difficoltà e a rischio di dissoluzione?

È difficile credere che, esibendo una “genialità strategica senza paragoni”, e rinnegando le posizioni critiche verso la scelta a suo tempo fatta da Reagan, Obama, dopo l’esperienza spiacevole dell’alleanza del governo americano con Osama Bin Laden e i suoi mujahedin in Afghanistan contro l’Unione Sovietica, avrebbe forgiato nuovamente un patto con il medesimo diavolo islamico che uccise 3000 cittadini americani in segno di riconoscenza verso l’America.
Per quanto poi riguarda la presunta percezione da parte di Obama della gravità della minaccia sciita, premessa fondamentale per tentare di giustificare il sostegno offerto ai sunniti, le scelte di Obama manifestano, contrariamente alle previsioni, un’evidente sottostima del pericolo Iran.
Basti pensare alla decisione di volgere le spalle al popolo iraniano che nel 2009 protestava per i brogli elettorali e subiva la violenta repressione dei mullah. I gravi disordini nel Paese rappresentavano una magnifica opportunità per indebolire il regime e promuoverne la caduta.                                                                             Obama, però, preferì il silenzio per un’intera settimana dopo l’inizio delle violenze sui manifestanti, e quando si decise finalmente a parlare, lo fece in termini totalmente innocui per la sopravvivenza del regime, al fine di evitare di compromettere l’interminabile negoziato sulla rinuncia all’arricchimento dell’uranio per scopi bellici, che in realtà finì per dimostrarsi controproducente regalando tempo prezioso ai pericolosi progetti dei mullah.
Un altro indizio dell’assenza di consapevolezza del pericolo, o dell’esistenza dell’illusione di poterlo esorcizzare con la potenza delle chiacchiere, delle scuse sincere, della rinuncia allo status di superpotenza, fu la scelta di mettere i bastoni tra le ruote a Israele, rivelandone pubblicamente le opzioni strategiche fornite dalla collaborazione militare con l’Azerbaijan, e compromettendone così la possibilità di attacchi a sorpresa da questo Paese.
Gli espliciti tentativi di indebolire Israele, tra cui quello pericolosissimo di costringerla al ritorno ai confini precedenti il 1967, che ne comprometterebbe gravemente la sicurezza (neutralizzati in parte dal Congresso degli Usa), mal si sposano con una strategia di contenimento dell’Iran e dell’islam sciita, che dovrebbe invece poggiare sullo sfruttamento dello Stato ebraico come principale fattore strategico di controllo, per ovvi motivi.
Il palpabile anti-sionismo di Obama avrebbe danneggiato seriamente i rapporti bilaterali Usa-Israele se il presidente, oltre che incontrare l’opposizione del Congresso, non avesse avuto timore di minare il sostegno elettorale di una buona parte del popolo americano, tradizionalmente filo-israeliano.
Altrimenti, Obama non avrebbe esitato a neutralizzare proprio lo strumento più efficace per frustrare le pericolose ambizioni egemoniche sciite, a conferma della sua sottovalutazione della minaccia che promana dall’Iran.
La “follia suicida” di Obama e della sua amministrazione acquista invece un senso alla luce di due fattori decisivi, ma solitamente trascurati o sottovalutati anche come risultato della propaganda esercitata proprio dal secondo di questa coppia di elementi preponderanti in gioco:
1) Obama è un ideologo di estrema sinistra completamente impervio alla realtà e animato da un disprezzo viscerale per l’Occidente e per il suo Paese, e come tale agisce. Non è stupido, né una persona malvagia come Stalin o Hitler, anzi è animato da buone intenzioni.

Preferendo però l’utopia delle proprie idee al mondo reale, egli finisce per intraprendere strade senza uscita o compiere errori di portata colossale altrimenti incomprensibili, se non forse ipotizzando trame e complotti degni di un film. Incapace di fare tesoro degli errori dei suoi predecessori e delle lezioni del passato anche recente, egli si illude di aver trovato nel dialogo, nella profusione di scuse sincere per l’inesistente passato coloniale, nella rinuncia al ruolo di “sceriffo del mondo”, nella deposizione dei dittatori arabi filo-occidentali, un magico interruttore con cui spegnere a piacimento la violenza islamica e controllare gli islamisti. Il suo distacco dalla realtà gli impedisce di cogliere la minaccia posta dall’islam sunnita non solo ai tradizionali alleati, quali Israele ed Europa, ma anche al suo paese e di riconoscere la futilità dei tentativi di far amare l’America ai suoi implacabili nemici giurati.

2) I mass media, con qualche eccezione, sono ideologicamente schierati a sinistra, e anzi spesso condividono le posizioni pacifiste e terzomondiste dell’ala estrema. Forse la loro predisposizione a sposare la causa anti-occidentale della sinistra li rende inoltre anche più propensi ad accettare laute sponsorizzazioni da parte degli sceicchi ed emiri Sauditi e del Qatar, che ben comprendono il ruolo fondamentale dei mezzi di informazione e il potere della propaganda. Per questa ragione, la stampa ha sostenuto Obama fin dai primi passi della campagna elettorale, nascondendo al pubblico la sua reale identità, le sue posizioni estreme e le sue frequentazioni di ambienti anti-occidentali, anti-sionisti e anti-cristiani, nonché coprendo la gestione a puri fini elettorali dell’uccisione di Osama Bin Laden e difendendo a spada tratta gli errori del presidente, una volta eletto.
E’ l’azione sinergica di queste due forze ideologizzate, afflitte dalla scarsa autostima, autolesioniste, e per questo ostili agli Usa e all’Occidente, e per giunta spesso foraggiate dai petrodollari arabi, a spiegare le politiche esplicitamente filo-islamiche, anti-sioniste e anti-cristiane del governo degli Usa che stanno minando seriamente la sicurezza e il futuro del mondo libero.

Fortunatamente, però, questa alleanza pare essersi incrinata e mostrare segni di cedimento.

La sequenza di scandali che ha colpito negli ultimi mesi l’amministrazione Obama, a partire dalla gestione dell’attacco all’ambasciata di Bengasi, reso possibile proprio dall’illusione di essersi guadagnato la gratitudine islamica dopo la deposizione di Gheddafi, per finire con le recenti rivelazioni del controllo attuato dal governo sulle telefonate e le comunicazioni di milioni di cittadini americani, potrebbe aver compromesso il sodalizio tra il presidente e i mass media.

La decisione del New York Times, uno dei giornali più fedeli ad Obama sin dalla sua prima apparizione come candidato alla presidenza, di criticare aspramente il governo nella scia dell’ultimo scandalo, lascia ben sperare. Forse non è lontano il giorno in cui i cittadini americani, dopo aver preso atto insieme ai giornalisti della prestigiosa agenzia di stampa che: “The Administration has now lost all credibility”, riconosceranno che la morte di Osama Bin Laden, strepitoso successo di Obama, è stata invece una grave sconfitta per gli Usa e per l’Occidente.

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Fonte: La morte di Osama Bin Laden: strepitoso successo di Obama, grave sconfitta per gli Usa e per l’Occidente – Parte seconda.

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