La neolingua gender si impone nella grammatica | La Nuova Bussola Quotidiana

di Tommaso Scandroglio  19-09-2014

Se li trovi nei contratti di assicurazione li temi. Piccoli, fastidiosi e spesso letali. Sono gli asterischi. Ti imbatti in uno di loro e subito vai al rimando a piè di pagina per scoprire in quali guai ti andrai a ficcare firmando il contratto (i famosi “guai assicurati”). Da poco però è nata una nuova genia di asterischi. Quelli gender.

Nella «Dichiarazione d’intenti per la condivisione di buone pratiche non discriminatorie della lingua italiana», siglata dagli atenei di Trieste ed Udine e dalla Scuola Superiore di Studi Avanzati di Trieste, si propongono suggerimenti in merito all’uso grammaticale del maschile e del femminile nei documenti ufficiali al fine di “non discriminare” le donne. In particolare provocano imbarazzo sessista frasi del tipo: “gli studenti e le studentesse sono stati sgridati”. Perché “sgridati” e non “sgridate”? Perché coniugare il participio, quando riferito sia a maschi che a femmine, prediligendo sempre il genere maschile? Occorre eliminare, si fa notare nel documento, queste dissimmetrie grammaticali. Da qui la soluzione proposta ad un convegno a Zurigo: “gli studenti e le studentesse sono stat* sgridat*”. E poi ci chiediamo perché non si danno mai soldi a sufficienze alla ricerca.

Il Corriere della Sera prende al balzo la palla e si fa questa domanda: cosa fare per indicare chi non si sente né uomo né donna? Cioè quale vocale usare per il transgender e l’asessuato? Questi eterosessuali ormai hanno ottenuto il monopolio di tutte le vocali (o/i ed a/e) ad esclusione della “u”. Ma parlare di “professoru” e “presidu di facoltà” forse suona troppo sardo. Allora ecco arrivare il colpo di genio: usiamo anche per i sessualmente indefiniti l’asterisco, perfetto al fine di “riconoscere anche altre possibilità di genere, oltre al maschile e al femminile”. E così avremo “professor*” e “ricercat*” e frasi del tipo «Studentesse e studenti sono invitat* a presentarsi…» (pare barese) ad uso e consumo per gli indecisi del sesso.

Quindi la soluzione per assegnare dignità grammaticale a color che sessualmente stan sospesi è un asterisco. Primo passo dell’esperanto omosessuale, della neo lingua per un neo popolo. D’altronde l’asterisco è la soluzione ottimale, infatti indica l’assenza di suono, la troncatura (o stroncatura) della parola. Così come il gender che è assenza di definizione, è neutralità sessuale, è (s)troncatura dell’umano nella sua dimensione binaria uomo/donna a noi così usuale. Né maschile né femminile come l’Onnipotente che però è Padre. Solo che “Dio” si scrive senza asterisco alcuno.

C’è da aspettarsi a breve un gragnuola di segni grafici per altrettante sfumature di orientamento sessuale: le virgolette per i bisessuali, ^ per i queer e § per gli intersessuali. Successivamente si inventeranno anche i fonemi per ognuno di questi sema. E il risultato sarà che noi prenderemo per refusi di stampa queste stramberie grafiche e a sentire parlare la neolingua gender per strada penseremo che l’immigrazione di stranieri starà toccando vertici mai raggiunti.

Ma sì lasciamo ai cultori del gender gli asterischi, le virgolette e pure la chiocciola della mail. Noi ci teniamo volentieri tutto il resto dell’alfabeto che ha generato la Divina Commedia e i Promessi sposi. L’unico dubbio che inquieta è il seguente: vuoi vedere che per compiacere la terza metà del cielo – quella gay – anche questi due capolavori dovranno subire un’adulterazione grammaticale e diventare Divin* Commedi* e Promess* Spos*?

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