La “Primavera araba” presenta il conto

di Gianandrea Gaiani

Come era facile prevedere, le conseguenze della cosiddetta “primavera araba” e del dilagare dei movimenti islamisti nel Nord Africa mettono a serio rischio gli approvvigionamenti energetici dell’Italia e dell’Europa.
Due episodi in poco più di un mese dovrebbero aver dato una brusca sveglia a quanti in Occidente ritengono sia stato un buon affare contribuire a rovesciare i regimi autoritari che reggevano la sponda meridionale del Mediterraneo.

A fine gennaio l’attacco di un nutrito gruppo di miliziani di al-Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi) agli impianti estrattivi di gas algerini gestiti dalla British Petroleum ad al-Amenas ha bloccato per molti giorni il flusso di gas diretto in Europa mentre all’inizio di marzo l’Eni è stata costretta a fermare gli impianti libici Mellitah in seguito agli scontri tra milizie rivali, quelle di Zintan e di Zuara, che si contendevano il contratto per garantire “la sicurezza” agli impianti gestiti dalla società italiana e da quella libica Noc attraverso la joint venture Mellitah Oil and Gas.
In Algeria la situazione venne risolta da un attacco militare che provocò la morte di oltre cento persone inclusi decine di terroristi e 37 ostaggi. In Libia la disputa è stata mediata, per ora, da Tripoli che ha indotto le milizie rivali ad abbandonare gli impianti.

Le conseguenze sulla distribuzione del gas non sono state troppo gravi, ma l’esportazione di gas è stata bloccata per giorni. Le autorità libiche hanno ripetuto anche ieri che le esportazioni che dall’impianto di Mellitah giungono a Gela attraverso il gasdotto Greenstream “riprenderanno tra giorni”, ma il presidente della Mellitah Oil and Gas ha ammesso che lo stop al sito ha imposto la riduzione del 25 per cento della produzione nei maxi giacimenti di Wafa e Sabratha.

I due episodi la dicono lunga sulla vulnerabilità della rete che alimenta l’Italia e l’Europa, messa in difficoltà da un attacco terroristico e da scontri tra milizie rivali, ma soprattutto dovrebbe indurre a riflettere sulla nostra dipendenza da Paesi sconvolti da violenze su vasta scala, già sprofondati nell’anarchia o in mano a gruppi e movimenti estremisti islamici.
Non occorre ipotizzare scenari fantasiosi per immaginare cosa accadrebbe se in tutta la Libia gli impianti che forniscono gas e petrolio diventassero campo di battaglia tra le milizie tribali, vere e proprie entità feudali che si contendono gli affari con le compagnie occidentali e potrebbero esercitare forti ricatti per consentire la ripresa delle forniture, o se attacchi su vasta scala dei terroristi dell’Aqmi colpissero contemporaneamente numerosi impianti algerini.

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