La Relazione sulla 194, fra criticità e omissioni | Giuliano Guzzo

E’ nuova, ma del tutto simile alle precedenti: tanti numeri e poca riflessione. Le 44 pagine dell’ultima Relazione del Ministro della Salute sull’attuazione della Legge 194  hanno infatti tutta l’aria di un dossier – senza offesa per il Ministro Lorenzin – stilato con una certa superficialità e che, come se non bastasse, ancor più superficialmente viene presentato da stampa e televisione. Ma andiamo con ordine, a partire dal dato centrale di questa come di parecchie Relazioni sull’attuazione della Legge 194 da anni a questa parte: il calo del numero degli aborti, che nel 2012 sono stati 105.968, con una riduzione del 4,9% rispetto al 2011 (111.415).Tutto bene dunque? Non proprio, e per diverse ragioni che meritano, sia pure brevemente, di essere prese in esame.

Una prima ragione di criticità deriva dal fatto che la riduzione degli aborti risulta in una fase di rallentamento (tra il 2011 ed il 2010 il loro decremento fu maggiore: – 5,6%), e poi perché – come da tradizione – si seguita a non considerare, neppure stimandoli, quelli conseguenti all’uso della cosiddetta “pillola del giorno dopo”. Che, in caso di concepimento, è abortiva ma che abortiva, in genere, non viene considerata a causa dell’infausto allineamento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, avvenuto nel 1985, alle decisioni prese dall’ACOG – acronimo che sta per American College of Obstetricians and Gynecologists -, la maggiore organizzazione di ginecologi degli Stati Uniti, che anni prima operò una discutibilissima trasformazione semantica: quella d’intendere il «concepimento», per la prima volta, solo ad avvenuto impianto dell’ovulo fecondato nell’utero materno.

Meglio andarci piano, quindi, a festeggiare il calo degli aborti. Anche perché – e qui siamo al secondo punto critico della Relazione sull’attuazione della Legge 194 – poco o nulla sappiamo sugli aborti clandestini. Infatti, l’ultima loro stima «pari a 15˙000 aborti clandestini, la maggior parte dei quali si riferiscono all‟Italia meridionale, è relativa allanno 2005» (p.4). Sono cioè almeno sette anni che non vengono effettuate stime sugli aborti clandestini: come mai? Forse quella che, anni dietro, fu la ragione scatenante per l’approvazione della Legge 194/’78, vale a dire la presenza di aborti clandestini, non costituisce più un tema da approfondire? E con la salute delle donne, come la mettiamo? O forse, più semplicemente, si teme di far notare che, dopo svariati decenni, gli aborti clandestini ci sono e magari – in particolare con l’immigrazione – sono pure in crescita?

Non è dato saperlo. Esattamente come nulla è dato sapere – altra pecca di non poco conto dell’ultima Relazione sull’attuazione della Legge 194 – della presenza nel nostro Paese degli aborti selettivi, fenomeno che sappiamo radicato in particolare fra alcune comunità straniere presenti in Italia e che consiste nel ricorso all’aborto procurato sulla base del sesso (quasi sempre quello femminile) del nascituro. Un vero peccato, giacché vi sono non pochi elementi – lo abbiamo detto – che suggeriscono la presenza dell’aborto elettivo anche da noi. Elementi che dicono, per esempio, come il sex ratio – cioè il rapporto tra maschi e femmine alla nascita, che in condizioni normali è di 105 a 100 – in alcune comunità cinesi in Italia sia pari a 119 maschi contro 100 femmine, mentre arriva persino a 137 a 100 nelle comunità indiane (Cfr. «l Foglio, 31/03/2012, p. 3).

Ci sarebbe insomma – e parecchio – di cui preoccuparsi, ma anche su questo al Ministero della Salute, contenti loro, sorvolano. La sola nota che dovrebbe tranquillizzare l’anima laica del Paese – e che guardacaso ha avuto scarsa, per non dire nulla visibilità mediatica – è contenuta a pagina 5, dove si legge che, per quanto riguarda la percentuale degli obiettori di coscienza, «,a livello nazionale, si è passati dal 58.7% del 2005, al 69.2% del 2006, al 70.5% del 2007, al 71.5% del 2008, al 70.7% nel 2009 e al 69.3% nel 2010 e nel 2011». Se infatti la percentuale degli obiettori – che nel 2008 fu del 71,5% – nel 2009 è scesa e nel 2010 e nel 2011 si è stabilizzata al 69,3, significa che la temuta impennata del personale obiettore – benché la pratica ospedaliera dell’aborto comporti «stanchezza cronica, irritabilità, paura di andare a lavorare, disturbi fisici e mancanza di gioia di vivere» («Nursing Ethics» 2013;doi:10.1177/0969733012463723) – non c’è.

Eppure alla cosa, come detto, si dà poco spazio, altrimenti l’insensata caccia alle streghe contro gli obiettori – giustamente – verrebbe scoperta. Così come verrebbe scoperto, riflettendo sulle pagine delle varie Relazioni sull’attuazione della Legge 194, che non c’è alcuna buona ragione per cui il calo degli aborti – che come abbiamo visto è da prendersi con le pinze – sia da ascriversi alla 194. Una legge che nel concreto non aiuta le madri a non abortire (non per nulla del numero di madri aiutate ogni anno dai consultori, nelle Relazioni  del Ministero, mai si parla: segreto di Stato), vecchia di decenni e che in decenni non è stata in grado di eliminare gli aborti clandestini, che rimangono ai migliaia. Una legge, quindi, che un Paese serio avrebbe non solo la possibilità ma pure il dovere di mettere seriamente in discussione. Ma in Italia nessuno lo dice, anche perché – pensandoci – se la 194 venisse rivista, poi chi potrebbe più scriverci sopra, anno dopo anno, fantastiche Relazioni sempre uguali e reticenti?

Fonte: La Relazione sulla 194, fra criticità e omissioni | Giuliano Guzzo.

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