La religione, la fede e la vita

di Alberto Caccaro

Qualche settimana fa un manipolo di ragazzi di Cremona ha visitato il nostro Museo Popoli e Culture che raccoglie sculture e oggetti delle diverse tradizioni religiose del mondo. I ragazzi, pur ingombrati dai loro pensieri e telefonini, ascoltavano Francesca, la guida, con attenzione. Francesca è incinta di sette mesi. Forse per interesse, forse per la bellezza degli oggetti custoditi o perché di fronte ad una donna incinta, alla forma gravida del suo pancione, il rispetto, il timore reverenziale, il silenzio religioso nascono spontanei, naturali, di fatto questi ragazzi ascoltavano attenti le tranquille spiegazioni di Francesca il cui tono di voce, lievemente affaticato dall’ospite interiore, generava un’atmosfera di religioso ossequio. Un atteggiamento molto simile, direbbe il poeta, ad un inchino alla vita, un inchino al sacro dentro Francesca.

Quel percorso certamente religioso che il Museo offriva ai visitatori, le figure e le sculture che l’anelito dell’uomo lungo i secoli ha prodotto, veniva completato dalla gravidanza di Francesca e, nel timore reverenziale dei ragazzi di fronte al mistero incipiente della vita, ho percepito il loro senso religioso, come innata percezione di un’invisibile eccedenza. Prima che per fede, per natura. Perché, direbbe Giussani, il senso religioso “è qualcosa che ci è dato con la nostra stessa esistenza; fa parte del dono dell’essere; è un elemento della struttura stessa della nostra natura”. Senza quelle ultime censure che certo laicismo, fatto di neutralità e più spesso qualunquismo, propone. E che subiamo: il politicamente corretto dei salotti e delle prime pagine, dove  “tutto cospira a tacere di noi, / un po’ come si tace / un’onta, forse, un po’ come si tace / una speranza ineffabile” (Rilke).

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