La religione nello spazio pubblico: riflessioni di un non credente | UCCR

Tra gli obiettivi di UCCR, secondo la nostra presentazione, c’è quello di essere un luogo di confronto con chiunque abbia interesse ad un dialogo, indipendentemente dalla sua posizione esistenziale. Questo avviene già (e con toni spesso fin troppo accesi) nei commenti che seguono ogni articolo, ma abbiamo comunque desiderato ospitare la riflessione di Stefano Colombo, un nostro amico agnostico nonché magistrato ordinario del Tribunale di Milano, su varie tematiche, chiedendogli di aiutarci ad individuare i punti in comune che ci sono tra noi ma di segnalare anche le eventuali divergenze per cercare di affrontarle, anche di risolverle magari, nel pieno rispetto delle rispettive opinioni con lo scopo di un cammino assieme. Per questo, chi volesse rispondere pubblicamente alla riflessione di Stefano (chiunque, credenti o non credenti) può scriverci a [email protected], prenderemo in esame il testo per verificarne la possibile pubblicazione.
di Stefano Colombo*
*magistrato (agnostico)

 

Queste brevi riflessioni circa il ruolo che la fede e l’appartenenza ad una religione ricoprono attualmente nella società, prendono spunto dalle parole del cardinale Camillo Ruini, pronunciate in occasione della lectio magistralis alla Lettura annuale 2013 di Fondazione Magna Charta Roma, del 6 Maggio 2013.

Personalmente, non sono credente, nel senso che non sono affatto certo, né tantomeno convinto, dell’esistenza di una divinità dotata di sentimenti praticamente analoghi a quelli umani, qual è il dio delle grandi religioni. D’altra parte, non sono neppure ateo, non essendo in grado di affermare, in senso opposto, neanche l’inesistenza di un dio che abbia le caratteristiche di cui sopra, che sia in grado di amare le proprie creature e che si preoccupi del loro destino.

Quando si parla di credenti o non credenti, è fondamentale distinguere l’oggetto del credere. Personalmente, ritengo che il mondo, la natura e gli esseri umani che ne fanno parte non possano essere frutto di un mero caso o di una coincidenza. Non mi sembra convincente pensare che la mera probabilità abbia determinato non soltanto le condizioni indispensabili affinché si generasse la vita sulla Terra, ma anche la complessità biologica ed anatomica animale e umana. A maggior ragione, mi sembra impossibile spiegare – almeno, in maniera soddisfacente – l’intelligenza e, soprattutto, la sfaccettata psicologia dell’uomo, liquidandole come frutto di un semplice caso. Ritengo, quindi, di poter almeno pensare che ci sia una ragione, una forza o persino un’intelligenza alla base della vita e del mondo.

 Le grandi religioni, sia politeistiche che monoteiste, compiono un passo ulteriore, perché, a questa intelligenza o forza creatrice e creativa, aggiungono delle connotazioni ulteriori che, sostanzialmente, la “umanizzano”. E, così, le divinità greche provano emozioni e sentimenti umani, come il rancore, la tenerezza e la gelosia, gli aesir nordici si ubriacano e si massacrano come guerrieri, le divinità dell’induismo personificano i sentimenti positivi e negativi delle persone ed, infine, il Dio delle tre grandi religioni monoteiste assume le caratteristiche di un “padre” per le sue creature. Personalmente, non riesco a credere all’esistenza di quest’ultima tipologia di divinità e, quindi, non riesco a credere al Dio della Bibbia e dei Vangeli. E’, però, accattivante ed affascinante l’idea che esista una Forza intelligente che non si limita solo a creare ma giunge persino ad Amare le sue creature. L’idea di Dio, così come proposta dalla religione cristiana (in senso lato), è molto bella, per dirla con parole semplici. Quindi, il fatto di non credere non significa smettere di cercare. Mi piace affermare che, nel mio caso, delle tre virtù teologali, mi difetta la Fede ma possiedo la Speranza.

Penso che anche colui che si dichiara assolutamente ateo, il più ateo di tutti, alla fin fine, dentro di sé, è alla ricerca di un senso, di una ragione giustificativa che vada oltre il mero caso e la semplice probabilità. Se non altro, per spiegare l’unica frontiera che il progresso umano non è (ancora?) riuscito a valicare e che, in definitiva, impedisce agli esseri umani di trascurare completamente i pensieri trascendenti e di dedicarsi soltanto ad un totale materialismo, ovvero la morte. In un certo senso, è molto facile negare in toto l’esistenza di un dio, mentre si è giovani e in salute. Quanti, però, si convertono nella malattia o in punto di morte? Proprio considerando questa ricerca incessante verso dio (userò l’iniziale minuscola per riferirmi ad una divinità che non sia necessariamente quella della religione cristiana, cui, invece, farò riferimento come Dio, con la maiuscola), s’inseriscono le parole del Card. Ruini circa il ruolo della fede nella società attuale.

Premetto che concordo praticamente in tutto con il pensiero del Cardinale. La fede ha necessariamente una dimensione privata ed una dimensione “collettiva”. Anche chi segue dottrine filosofico-religiose più legate all’Io e, quindi, più intime e personali,  come i più recenti movimenti New Age, ricerca altre persone che abbiano le stesse convinzioni per condividere esperienze, pratiche ed idee. La condivisione delle proprie convinzioni religiose ed, eventualmente, anche dei propri dubbi, con altri “simili” non può che aiutare a trovare ed a mantenere una fede. Se, poi, la propria fede si basa non soltanto sulle proprie convinzioni personali e/o emozioni ma, com’è il caso delle grandi religioni monoteistiche, su di una Rivelazione, la dimensione collettiva assume grande importanza, perché, a fronte delle difficoltà e delle “prove” che la vita ci mette dinanzi, il supporto di altri “fedeli” e, soprattutto, di “guide spirituali” (che, nel caso della religione cattolica, saranno ovviamente il Papa e gli altri sacerdoti) può risultare fondamentale.

Ribadendo quanto ho affermato sopra, ovvero che ogni essere umano, ancorché si dichiari più o meno ateo, deve, superficialmente o in modo più approfondito, fare i conti con la ricerca di un “senso” e di un “significato” per la sua vita, ne consegue il ruolo essenziale che giocano le religioni e, più in generale, la fede, anche nella società moderna. Ecco perché è irrimediabilmente sbagliato pretendere di cancellare ogni traccia di religione e di fede dalla sfera pubblica, per relegarla ad una sfera unicamente privata. Non solo è sbagliato, ma è fondamentalmente impossibile. Perché è impossibile eliminare le domande che nascono nel cuore dell’uomo circa il senso della propria vita e, soprattutto, del proprio destino. E’ impossibile eliminare, in altre parole, quella ricerca verso dio (o verso il trascendente) che è propria di qualsiasi uomo. Almeno, fino a quando non saremo in grado di dare risposte concrete e indubitabili su questi interrogativi e fino a quando non saremo in grado di sconfiggere e di superare l’invecchiamento e la morte. Chiarito, quindi, che la fede ha una dimensione necessariamente pubblica e collettiva, vorrei evidenziare una bella differenza che ha colto e messo in luce il cardinal Ruini. La differenza tra libertà religiosa ed imposizione di una religione.

Con l’editto di Costantino, sottolinea il cardinal Ruini, è stato finalmente concesso, dopo tanto spargimento di sangue, ai sudditi dell’Impero Romano di professare liberamente la fede cristiana. E’ stata introdotta, in altre parole, la prima forma embrionale di libertà religiosa, intesa quale libertà di professare una propria fede o un proprio culto, non imposto dallo Stato. L’editto di Teodosio, all’opposto, ha tentato di obbligare tutti i sudditi dell’Impero a professare la religione cristiana. Ha tentato, cioè, l’imposizione di una religione. Ogni fede (ed ogni religione), in quanto tale, ha la pretesa di essere “quella giusta” o la “verità”, altrimenti non potrebbe definirsi “fede” ma, al massimo, “speranza” o “convinzione dubbiosa”. Fa bene, quindi, chi professa una religione a sostenere che il proprio credo sia quello “giusto” o “vero”. Il problema nasce quando si vuole comunicare questa “verità” ad altre persone che, invece, non la condividono. L’idea che tale “verità” vada inculcata con qualsiasi mezzo finisce con il determinare, inevitabilmente, violenze e soprusi.

Alcune voci (fortunatamente isolate), ad esempio, agognano il ritorno ad uno Stato Teocratico, in cui la religione (in questo caso, cattolica) con i suoi conseguenti ed inevitabili dogmi, venisse imposta per forza di Legge. Un po’ come accade, purtroppo, in alcuni Stati Islamici. Poniamoci, però, un interrogativo: al Dio Padre di Gesù farebbe davvero piacere essere adorato da milioni di persone solo perché coercite da un potere esterno? O preferirebbe, invece, l’adorazione spontanea di mille persone, sinceramente convinte del loro credo? Ecco perché lo Stato Italiano si pone come Stato Laico. Esiste un concetto, però, di “laicità all’italiana” che, in questo caso, non ha connotazioni negative ma assolutamente positive. In base agli importanti dettami della Costituzione Italiana sulla questione (art.li 7, 8 e 19), lo Stato Italiano non si pone come indifferente alla dimensione religiose, bensì come equidistante dai vari culti e, al contempo, come supporto per il culto, inteso come manifestazione della personalità umana (art. 2 Cost.). In Italia, laicità non significa, quindi, che lo Stato sia totalmente indifferente alla dimensione religiosa ma indica, molto più correttamente, l’imparzialità dello Stato – Istituzione rispetto ai diversi culti e religioni.

Lo Stato Italiano, quindi, concede la devoluzione di una parte delle proprie imposte a varie confessioni religiose (con cui ha stipulato apposite Intese) e considera giorni festivi alcune ricorrenze proprie della religione, in questo caso, cattolica. Così, nulla vieta allo Stato Italiano di agevolare o finanziare l’apertura o il mantenimento di luoghi di culto o di formazione, quali, ad esempio, le scuole private, dove venga dato più spazio all’insegnamento di una religione rispetto alle scuole pubbliche. Il risvolto della medaglia, per un credente, consiste nel fatto che lo Stato dovrà trattare in egual modo anche le religioni diverse dalla propria, considerandole tutte “ugualmente vere” ed “ugualmente meritevoli di tutela”. Così, un musulmano in Italia avrà certamente diritto a professare il suo credo e ad avere un proprio luogo di culto ma, al contempo, non potrà pretendere che questi diritti siano vietati ad un cristiano.

Il cristianesimo rimane, ancora, la religione più fortemente presente e considerata in Italia, anche per ragioni storiche e culturali. Eppure, lo Stato Italiano tollera anche religioni, culti o, comunque, convinzioni che sono del tutto incompatibili con la religione cristiana. Il satanismo, ad esempio, non è punibile né sanzionabile a livello giuridico (salvo qualora dovesse sfociare in un reato) e l’ateismo (che, spesso, si sfoga contro il cristianesimo) non solo è ammesso e tollerato, ma è anche ben rappresentato a vari livelli, culturale, sociale e politico. In tutto questo discorso, si colloca, poi, il processo democratico, cui fa riferimento anche il cardinal Ruini. E’ chiaro che, in una società dove tutte le voci sono considerate come equipollenti, per la risoluzione dei problemi occorre trovare una risposta che sia condivisa dai più, ovvero da una “maggioranza”. Non significa, ovviamente, che si possa configurare una “dittatura della maggioranza”, ma è necessario che si costruisca un discorso, una dialettica tra le varie posizioni che, alla fine, porti ad adottare, comunque, una soluzione concreta. Anche chi professa una fede ha, ovviamente, il diritto di partecipare a questo processo dialettico, così come chi si dichiara ateo o agnostico. Il punto cruciale è che, giunti al dunque, occorre prendere una soluzione che, nel bene o nel male, lo Stato italiano dovrà poi mettere in pratica. E, qualcuno, deve saper perdere. Questo vale per tutte le parti in gioco. Nel dialogo a proposito dei numerosi temi etici, ormai così pressante, si affrontano “schieramenti” diversi, ciascuno portatore di soluzioni opposte.

Credo che non sia utile sostenere con la violenza (non solo fisica, ma anche verbale o “mediatica”) le proprie idee. Credo, invece, che sia importante esporre le ragioni fondanti delle proprie convinzioni, per convincere altre persone e per creare, quindi, una “maggioranza” attorno ad una determinata soluzione. I credenti e, segnatamente, i cattolici hanno gli stessi diritti e gli stessi poteri di tutti gli altri cittadini italiani, nel “gioco dialettico” relativo ai temi etici. Anche attraverso il grande risalto mediatico che ha la Chiesa Cattolica, hanno la possibilità di far sentire la propria voce e di esporre valide ragioni argomentative. Sull’altro piatto della bilancia, ci sono, ovviamente, i portatori di interessi opposti, anche loro dotati di grandi mezzi e di forte volontà per convincere circa la bontà delle loro tesi. Nasce, quindi, una sfida appassionante in cui ogni persona è chiamata a giocare attivamente, a far sentire con forza le proprie convinzioni e le proprie idee. E, come in ogni sfida, si può vincere o si può perdere. Dato l’ambito in cui sto scrivendo, mi riferisco in modo particolare a chi si dichiara cattolico ma, ovviamente, il discorso vale per chiunque è portatore di una fede o di un ideale (anche per l’ateo o il “laicista”, dunque). Ogni problematica crea una serie di “fazioni” che propongono soluzioni diverse. Questo vale, a maggior ragione, per questioni molto vicine alla vita umana, come i cosiddetti “temi etici”. Se non prevale immediatamente il proprio punto di vista, penso che sia quanto mai opportuno impegnarsi ancora di più.

Come ho scritto in apertura, ci sono alcune persone, dichiaratamente cattoliche, che vorrebbero un ritorno al “pugno di ferro”, dove un’Autorità indiscutibile ed invincibile imponesse, con l’uso della forza, tutta una serie di determinate regole (dal divieto di divorziare all’incriminazione assoluta dell’aborto fino al carcere per gli omosessuali). Trovo che questo atteggiamento sia, in primo luogo, stupido e inutile perché non tiene conto del dato di fatto, ovvero  l’esistenza di una Carta Costituzionale e di uno Stato ormai definitivamente democratico e pluralista. In secondo luogo, lo ritengo dannoso per la causa stessa, in quanto “minaccia” chi ha idee differenti, invece di convincere della bontà delle proprie ragioni. Una corretta e pacata divulgazione delle proprie idee, invece, può essere la soluzione migliore per “vincere” le proprie battaglie e per realizzare la propria fede anche a livello politico e sociale. Tenendo in considerazione, ovviamente, che il successo non  è assicurato.

A fronte di leggi incompatibili con il proprio credo (per il cattolicesimo, penso, ad esempio, alla legge sull’aborto e sulla fecondazione artificiale), chi professa una fede rimane, comunque, titolare del potere di dissentire e di criticare, anche organizzando manifestazioni di piazza. L’obiezione di coscienza può rappresentare, infine, un utile strumento per consentire a chi professa una fede di non tradire i principi in cui crede, anche se lo Stato Italiano, di volta in volta, dovrebbe farsi carico del compito di garantire, comunque e in ogni caso, servizi o diritti che la Legge riconosce ai cittadini. E, se probabilmente, non è affatto semplice comporre in uno Stato l’infinità varietà di pensieri, convinzioni, religioni e prese di coscienza di ogni essere umano, credo, comunque, che lo Stato Laico (inteso, appunto, come equidistante da ogni religione) sia la soluzione certamente più corretta e più efficace. Basta solo imparare a convivere nel rispetto reciproco, dopotutto.

Fonte: La religione nello spazio pubblico: riflessioni di un non credente | UCCR.

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