La scelta di premiare “La scelta di morire” « Giuliano Guzzo

In un mondo normale si tifa per la vita; e si fa di tutto per promuoverla e tutelarla. In un mondo normale questa è una tensione naturale, inscritta nel cuore dell’uomo, che non abbisogna di adesioni partitiche o di professioni di fede. Si è a favore della vita perché ci sente chiamati, partecipi e golosi della sua bellezza. E’ una sorta di vocazione che – in un mondo normale, almeno – riguarda chiunque.

Nel mondo reale – specie quello di oggi -, le cose vanno invece diversamente. E può capitare che un discusso documentario televisivo dal titolo “Terry Pratchett: Choosing to Die”, Terry Pratchett: la scelta di morire, non solo venga ideato, realizzato e promosso, ma sia addirittura premiato con l’assegnazione di un Emmy International [1]. E’ normale? Anche per chi non ha visto il film, viene da dire di no. Reale sì però, eccome. E dall’alto della nostra fede o dal basso del nostro scetticismo – la prospettiva qui è ininfluente – non possiamo sottrarci alla domanda: perché?

Cosa ci può essere di di bello, istruttivo e interessante nella storia di un Peter Smedley qualsiasi che, affetto da sclerosi laterale amiotrofica, sceglie di andarsene in Svizzera e di programmare la propria morte? La domanda vale anche e soprattutto per coloro che credono al cosiddetto “diritto di morire”: cosa c’è da celebrare nel dolore di vivere e nella sofferenza che si spegne a comando? Non uno o due bensì 900 telespettatori, comprensibilmente indignati, lo hanno chiesto alla Bbc, che ha trasmesso questo documentario [2]. E anche noi non possiamo sottrarci a questo interrogativo.

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