La spalla del boia

 L’immagine della Associated Press è di quelle che attanagliano il cuore, e su cui ci si ferma, anche se non lo si vorrebbe, perché già al primo sguardo sai che ne trarrai dolore. Teheran, 21 gennaio, pubblica impiccagione di due giovani accusati di rapina. Dentro una notte senza luci, nera come se non dovesse più sorgere l’alba, solo il flash proietta la sua fredda luce. I condannati, che dimostrano vent’anni, vengono condotti alla forca, accompagnati ciascuno dal proprio boia col volto nascosto da un cappuccio. È un non-volto dunque, una maschera, l’ultima presenza accanto ai condannati.

Uno dei prigionieri mostra all’obiettivo, sulla faccia da ragazzo, una smorfia di terrore e di angoscia. Sembra così giovane che, qualsiasi cosa abbia anche fatto, chi guarda si ribella: è ancora più intollerabile giustiziare un ragazzo, che avrebbe tutta la vita per cambiare. (Già però, dietro di lui, sulle spalle del boia si intravede, pronto, il cappio).

Ma è l’altro condannato, che turba più profondamente. Nella disperazione di chi si vede davanti la morte, appoggia, inerme come un ragazzino, la testa sulla spalla del boia, a domandare, proprio a lui, conforto. E il boia mascherato, il non-volto, non si ritrae, anzi con una mano gli cinge la spalla. Il carnefice sembra avere pietà della vittima, e desiderare, forse, che il suo terribile compito gli sia tolto. C’è una umanità struggente, fra i due, nell’istante catturato dal fotografo; un ritrovarsi, sotto la più feroce legge, per un momento tuttavia fratelli, dentro a una legge anteriore e più grande.

Ma tutto questo dura pochi secondi; un regime come quello iraniano non tollererebbe debolezze nei suoi boia. La pubblica conferma di un terrore eretto a sistema è del resto la ragione di quella esecuzione in piazza di due, forse, giovani banditi da strada.

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