La via italiana alle nozze gay – La Nuova Bussola Quotidiana

di Tommaso Scandroglio

In Italia non serve una legge che permetta di celebrare le “nozze” gay. Una coppia omosessuale che volesse “sposarsi” può già rivolgersi ai giudici o agli amministratori locali per farlo senza aspettare una pronuncia del Parlamento sul tema. Non sono esagerazioni queste, bensì una nitida fotografia di un percorso che ha portato alla legittimazione per via giurisprudenziale ed amministrativa del “matrimonio” omosessuale.

L’ultima puntata di questa saga arcobaleno si è svolta in quel di Latina, dove l’amministrazione comunale ha recepito la domanda di trascrizione nei registri del comune del “matrimonio” contratto nel 2002 in Olanda da Antonio Garullo e Mario Ottocento, nonostante sul caso si fosse già espressa la Cassazione in modo negativo qualche anno fa, come vedremo più avanti. Il provvedimento è stato proposto da quattro consiglieri del PD ed ha registrato 14 voti a favore, due contrari e un astenuto. Il Sindaco ha tenuto a precisare che ha solo accolto la domanda, cioè ha solo avviato la relativa procedura ma che non può perfezionarla trascrivendo l’atto di “matrimonio” finchè gli organi ministeriali non si saranno pronunciati sul punto, consapevole poi che solo il Parlamento è competente a legiferare in materia. E così il primo cittadino ha inviato tutto l’incartamento a Roma. Dunque il succo del discorso è questo: non si può fare, però noi iniziamo a farlo ugualmente.

La vicenda di Latina è solo l’esito di un iter giuridico, o meglio: para-giuridico, che è iniziato qualche anno fa. Nell’aprile del 2009, a seguito di un ricorso presentato da una coppia gay, il Tribunale di Venezia ha emesso un’ordinanza di remissione presso la Corte Costituzionale chiedendo che si vagli la costituzionalità del Codice Civile laddove non contempli il cosiddetto “matrimonio” omosessuale. A breve distanza sono state presentate analoghe ordinanze dai tribunali di Trento, Ferrara e Firenze. La Consulta ha respinto i ricorsi “in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio” (sentenza n. 138/2010, ordinanze n. 276/2010 e n. 4/2011), però aprì al riconoscimento giuridico delle coppie di fatto omosessuali perché “formazioni sociali” ex art. 2 della Costituzione: “In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”.

La Corte di Cassazione poi fece un passettino ancora più in là. Nel 2011 affermò che la nozione di “coniuge” deve essere determinata alla luce dell’ordinamento giuridico straniero ove si è celebrato l’eventuale “matrimonio” omosessuale (sentenza n. 1328/2011). La palla venne subito presa al balzo nel febbraio del 2012 dalla I Sezione civile del Tribunale di Reggio Emilia. La decisione dei giudici riguardava il caso di un italiano “sposato” in Spagna con un uomo uruguaiano. Il Tribunale concesse il permesso di soggiorno in Italia al partner extracomunitario come fosse il legittimo consorte perché “il termine coniuge non può essere interpretato secondo la normativa italiana”, ma secondo il diritto comunitario. Sempre per il gioco degli ossimori che sta così tanto a cuore ai giudici, questi hanno specificato che le due persone omosessuali non sono per la nostra legge “sposati”, ma è come se lo fossero, cioè a loro devono essere riconosciuti quei singoli diritti propri di una normale “vita familiare”. Insomma non proprio coniugi, ma familiari sì seppur non legati da vincoli di sangue.

Passa un mese e la Corte di Cassazione si pronuncia sulla richiesta della coppia Garullo-Ottocento, di cui abbiamo dato notizia più sopra, “sposatasi” in Olanda e che voleva il riconoscimento di tale vincolo anche sul suolo italiano (sentenza n. 4184/2012). La Corte rigettò la domanda, però tenne a precisare che “la diversità di sesso dei nubendi [inteso come] requisito minimo indispensabile per la stessa ‘esistenza’ del matrimonio civile, come atto giuridicamente rilevante, non si dimostra più adeguata alla attuale realtà giuridica, essendo stata radicalmente superata la concezione secondo cui la diversità di sesso dei nubendi è presupposto indispensabile, per così dire ‘naturalistico’, della stessa ‘esistenza’ del matrimonio”. E in merito al divieto di “nozze” gay espresso dalla Corte Costituzionale nel 2010? Non si tratta di divieto, secondo i giudici della Cassazione, ma solo del riconoscimento che nel nostro ordinamento il “matrimonio” omosessuale per ora non esiste, ma chissà un giorno forse sì. Detto in altri termini, da nessuna parte è previsto l’obbligo che i due nubendi siano di sesso diverso: “il suo riconoscimento [del ‘matrimonio’ omosessuale] e la sua garanzia – cioè l’eventuale disciplina legislativa diretta a regolarne l’esercizio – in quanto non costituzionalmente obbligati, sono rimessi alla libera scelta del Parlamento”.

Nelle more che il Parlamento legiferi, la Corte ha poi dato il via libera al “matrimonio” omosessuale de facto: “I componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto, se – secondo la legislazione italiana – non possono far valere né il diritto a contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero, tuttavia – a prescindere dall’intervento del legislatore in materia -, quali titolari del diritto alla ‘vita familiare’ e nell’esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, segnatamente alla tutela di altri diritti fondamentali, possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza appunto di ‘specifiche situazioni’, il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata”. Un “matrimonio” valido non formalmente, ma sostanzialmente sì. Si getta il sasso e si nasconde la mano.

Nel giugno del 2013 sempre la Cassazione, esprimendosi su un caso di scioglimento automatico del vincolo matrimoniale a seguito del cambiamento di sesso di uno dei due coniugi, ha ribadito il concetto già espresso: “la scelta di estendere il modello matrimoniale anche ad unioni diverse da quella eterosessuale è rimessa al legislatore ordinario. Non sussiste un vincolo costituzionale (art. 29 Cost.) o proveniente dall’art. 12 della CEDU in ordine all’esclusiva applicabilità del modello matrimoniale alle unioni eterosessuali (Corte Cost. n.138 del 2010; CEDU caso Schalk e Kops)” (ordinanza 14329/2013).

Anche il Governo si allineò a questa tendenza di riconoscere in qualche modo il vincolo “matrimoniale” contratto all’estero. Nell’ottobre del 2012 il Viminale invia una circolare alle questure di Firenze e Pordenone a firma del prefetto Rodolfo Ronconi, direttore centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere. Il caso riguardava il rilascio di “un titolo di soggiorno a cittadino straniero sposato in Spagna con cittadino italiano dello stesso sesso”, titolo che venne rilasciato puntellandosi alle precedenti pronunce della magistratura “chiamata a riempire questo vuoto normativo” e alle norme europee sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e dei loro familiari (Dec. Leg. n.30/2007). A seguito di questa circolare sono stati emessi una trentina di titoli di soggiorno nelle seguenti città per coppie unite da “matrimoni” omosessuali o Pacs contratti all’estero: Milano, Roma, Rimini, Lucca, Treviso, Varese, Treviso, Cagliari, Firenze, Venezia, Genova, Bolzano, Brindisi,  Palermo e Verona (per farli ottenere si è mossa l’associazione dei Radicali “Certi diritti”).

Altri diritti che concernono il vincolo matrimoniale poi vengono riconosciuti a pioggia dai giudici alle coppie omosessuali. Ad esempio nell’agosto del 2012 la Corte di Appello di Milano stabilisce che la cassa mutua di categoria non può negare il diritto alle prestazioni assistenziali alla coppia dello stesso sesso stabilmente convivente. Alle coppie omosessuali vengono poi affidati i minori: così hanno deciso i tribunali di Brescia (gennaio del 2013), Bologna (novembre 2013) e Palermo (gennaio 2014). Il tutto con il beneplacito della Cassazione che nel gennaio del 2013 affermò che “un minore può crescere in modo equilibrato anche in una famiglia gay”.

Infine qualche giorno fa il Tribunale di Grosseto ordina al Comune di «di trascrivere nei registri di stato civile il matrimonio» di due cittadini maschi italiani celebrato a New York nel 2012, dal momento che nel codice civile «non è individuabile alcun riferimento al sesso in relazione alle condizioni necessarie» al vincolo coniugale (si legga “Il matrimonio gay? I magistrati lo impongono”). Questo ultimo passo è quello più significativo perché le precedenti pronunce giurisprudenziali, anche se in modo ipocrita, affermavano perlomeno che di “matrimonio omosessuale” sotto il profilo giuridico non si può ancora parlare qui in Italia. Ora invece nero su bianco si stabilisce l’opposto. Ma i giudici di Grosseto e il sindaco di Latina nulla avrebbero potuto senza i precedenti interventi di tutti gli altri giudici, zelanti difensori della “famiglia” arcobaleno.

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