La vulgata dell’Islam moderato | Qelsi

Di Cristiano Mario Sabbatini, il 17 novembre 2014

La vulgata sembra sostenere che, in fondo, così come il cristianesimo, passando per il linciaggio di Ipazia (sic) e finendo con le guerre di religione e l’intramezzo dell’Umanesimo, sia riuscito a darsi uno status del tutto conforme ai canoni della convivenza civile nella società attuale, lo stesso processo possa adattarsi tout court anche all’Islam, al quale basterà dare manforte ai suoi tentativi di riforma in senso modernista per risolvere i problemi di compatibilità e quieto vivere con il resto del mondo occidentale.

Facile no? ed anzi la nostra stessa storia, dal Rinascimento in poi, sembra confortare questa evoluzione delle cose.
E’ davvero così rassicurante lo scenario?
Secondo quale forma di ‘pregiudizio classico’ può essere adattato al mondo musulmano la stessa dinamica dei processi di secolarizzazione verificatisi all’interno del mondo cristiano?
La vulgata non può rispondere a questo, la fiducia nella bontà dei propri patterns mentali è la stessa che ha mosso finora i fautori dell’esportazione della democrazia con ogni mezzo, a quanto sembra.

Mettiamoci per una volta noi nei panni di chi pone un po’ di domande allora, vediamo se, abbassando l’asticella, otteniamo qualche risposta coerente, non diciamo sul piano dottrinale, ma almeno su quello logico.
Perché mai, secondo i sostenitori della vulgata dell’Islam moderato, il partito “laico” Nidaa Tounes che ha appena vinto le elezioni in Tunisia, per prima cosa ha tenuto a sottolineare che non sono per nulla dei “laici”, bensì solo dei “modernisti”?

Per qual motivo ancora le comunità islamiche presenti nel territorio della penisola, anche in occasioni pubbliche, sollecitate a confermare la loro alterità rispetto allo Stato Islamico (IS) si sono rifiutate, con motivazioni pressoché imbarazzanti, di bruciare la bandiera dell’ISIS apertamente?
E di nuovo, per quale ragione anche le confraternite islamiche (i sufi) più critiche, nei confronti del cosiddetto fondamentalismo islamico, come la Naqshbandiyya, nei loro documenti ufficiali oppongono come unica richiesta ai wahabiti e a tutte le altre componenti cosiddette radicali quella di non essere considerati loro stessi come dei miscredenti, degli innovatori (bid’a) e degli associazionisti (shirk)?

Potremmo farne molte altre di domande, ma queste tre bastano, al momento, per consentire alla vulgata di darci una risposta rassicurante rispetto al fatto che si possa convivere pacificamente, non con l’egiziano che ci cucina la pizza o l’amatriciana nel nostro ristorante di fiducia, ma con l’Islam in generale dentro casa nostra.
Qualcuno si fa avanti per rispondere?

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