Le radici cristiane sono un’evidenza laica per gli storici | UCCR

Tutti coloro che hanno a cuore l’autentico umanesimo e il futuro dell’Europa sappiano riscoprire, apprezzare e difendere il ricco patrimonio culturale e religioso di questi secoli”. Con queste parole Benedetto XVI ha concluso un’udienza generale nel 2009, richiamando il desiderio di Giovanni Paolo II di veder ricordato nel Trattato costituzionale dell’Unione Europea un riferimento alle radici cristiane, patrimonio comune dell’Oriente e dell’Occidente.

Molti storici, credenti e non credenti, cristiani e non cristiani, presero posizione sostenendo la richiesta di Giovanni Paolo II e tra questi anche l’italiano Sergio Romano, laico e anticlericale. Nel 2002 scrisse sul “Corriere della Sera”: «Dovrebbe dunque la Costituzione europea, come chiede ora implicitamente Giovanni Paolo II, menzionare le religioni e riconoscere, come suggerisce Francesco Cossiga, le radici cristiane dell’ Europa? Se accettassimo questi suggerimenti renderemmo onore alla verità. La storia politica dell’Europa è cristiana». Tuttavia, spiegò, c’è la possibilità che «in epoca di ecumenismo e multiculturalismo» in futuro anche gli islamici chiederanno di riconoscere «le radici giudeo-cristiano-islamiche dell’ Europa». Per questo, scrisse, «le costituzioni non dovrebbero essere documenti filosofici. Le migliori sono quelle che definiscono con la massima precisione possibile la struttura dello Stato, i compiti delle istituzioni, le regole da adottare per il trasferimento dei poteri da un governo all’altro e qualche indispensabile principio generale». I suoi timori tuttavia non sono per nulla giustificati: se occorre riconoscere le radici cristiane in quanto evidenza storica, come ha scritto ad inizio articolo, lo stesso non si può dire per le radici islamiche e per lo stesso motivo non potranno mai essere riconosciute. Indipendentemente dal multiculturalismo.

In ogni caso questa più o meno è rimasta la sua posizione nel tempo. Il dibattito si è riaperto in questi giorni nelle lettere a cui risponde sul quotidiano di via Solferino. Il 13 giugno 2013 Romano ha scritto: «Europa e cristianesimo sono due termini indissociabili di una lunga storia comune, ed è impossibile scrivere la storia dell’uno senza scrivere la storia dell’altro. Ma un testo costituzionale non è un trattato storico-filosofico, e uno Stato non è meglio governato se la sua Carta è preceduta da un breve manifesto ricco di buoni propositi e ampollosi luoghi comuni». Il 19 giugno 2013, dopo un’accozzaglia di luoghi comuni sul presunto potere ricattatorio della Chiesa, ha comunque affermato ancora: «pur riconoscendo il ruolo fondante del cristianesimo nella storia d’Europa, continuo a pensare che sia stato opportuno omettere le “radici cristiane” dal testo della Trattato costituzionale».

Nel 2005 è arrivato a contraddirsi giustificando l’omissione delle radici cristiane perché « l’Europa è stata spesso sanguinosamente divisa dalle sue interpretazioni» sul cristianesimo, e perché «dovremmo forse cancellare dalla storia d’Europa tutto ciò che è stato fatto contro la Chiesa o a dispetto della sua volontà?». Eppure soltanto tre anni prima, riconoscendo l’origine cristiana dell’Europa, si era già risposto: «La libertà è il frutto di lotte religiose: fra il papa e l’imperatore, fra l’ortodossia e il dissenso, fra i cristiani e i musulmani, fra i cattolici e i protestanti, fra i luterani e gli anabattisti, fra la Chiesa di Stato (come nel Regno Unito) e le piccole Chiese “non conformiste”. I grandi liberali dell’Ottocento sono cattolici, anglicani o protestanti. La democrazia americana, nasce da una emigrazione religiosa, crede in Dio e ripone in lui la sua fiducia (“in God we trust”). Per lungo tempo il Parlamento britannico comincia i suoi lavori con un atto di devozione collettiva ed esige dai membri della Camera dei Comuni un certificato di battesimo. Persino la rivoluzione francese è “deista” e finisce per scimmiottare le grandi cerimonie religiose. Provatevi a togliere il cristianesimo dalla storia d’Europa e vi rimarrà tra le mani, alla fine, un povero manuale marxista, arido e insignificante».

Dunque per Sergio Romano l’Europa ha quelle “radici”, è evidenza storica. Ma è meglio non dirlo, troppo politicamente scorretto. Pier Giorgio Liverani ha risposto affermando invece che «se un preambolo parla di radici, porta linfa vitale e orienta i principi e le norme che seguono. A una società di Paesi con storie, lingue, costumi, politiche, economie e istituzioni differenti, un richiamo a ideali e radici comuni farebbe assai più bene che la sola comunità della moneta». La pensa allo stesso modo Hans-Gert Pöttering professore onorario di Giurisprudenza presso l’Università di Osnabrück ed ex presidente del Parlamento europeo, che nel 2007 al Meeting per l’Amicizia tra i Popoli di Rimini ha affermato: «come Presidente di gruppo parlamentare, mi sono sempre impegnato affinché il riferimento a Dio venga inserito nella Costituzione e, se possibile, anche questa citazione delle radici cristiano-giudaiche». L’ebreo Joseph Weiler, prestigioso docente di diritto europeo alla New York University ha spiegato nel 2012: «Quello che è strano è che ci sia qualcuno che resiste, che vuole negare, che trova scandaloso il menzionare questo. Se per esempio qualcuno avesse detto che le radici dell’Europa sono greco-romane, nessuno avrebbe fatto obbiezione perché è chiaro che è così».

Preambolo si, preambolo no, la cosa interessante è che per lo meno non si evita di riconoscere l’evidenza storica. Una laica evidenza storica come ha scritto Claudio Magris qualche anno fa: «Le radici dell’Europa sono in buona parte ebraico-cristiane, grazie alle quali nel nostro Dna sono entrate pure molte linfe della civiltà medio-orientale; riconoscerlo non è una professione di fede ma una constatazione storica e negarlo è un’automutilazione». Se Francesco Margiotta Broglio Massucci, ordinario di Storia e sistemi dei rapporti tra Stato e Chiesa all’Università di Firenze parla di «inestirpabili radici giudeocristiane» dell’Europa il filosofo Massimo Cacciari ha affermato: «come facciamo a non appartenere ad un evo che è marcato dal segno della croce? Solo uno stolto può ritenere che questo non è, per ciascuno di noi, credente o non credente, un problema, forse il problema e cioè quello della propria tradizione, delle proprie radici, del proprio linguaggio e della propria cultura».

Un’evidenza storica per credenti e non credenti, dicevamo. Il cristiano Roger Scruton, tra i più brillanti filosofi inglesi in attività, ha affermato nel 2012: «Penso che tutte le Chiese europee debbano trasmettere il messaggio che, senza di loro, l’Europa non esiste. Le nostre società sono creazioni cristiane, che dipendono su ogni singolo punto da una rivelazione che è stata mediata dalle Chiese e che ha assunto una dimensione sacramentale. Negare questo vuol dire eliminare ogni barriera rispetto a quell’entropia globale che minaccia anche l’Europa. Affermarlo, vuol dire iniziare a riscoprire le cose per cui dobbiamo lottare e che dobbiamo difendere dalla corruzione». Sulla stessa riga il filosofo non credente André Comte-Sponville, già docente della Sorbona di Parigi, ha detto a sua volta: «L’origine cristiana dell’Europa è una evidenza storica. Se l’Europa ignora le sue radici cristiane cesserà di essere una civiltà e di essere solo un mercato».

L’agnostico Jacques Le Goff, docente nelle Università di Lille e Parigi, tra i più autorevoli storici del Medioevo viventi, ha parlato di “radici medioevali dell’Europa”, così come ripreso dalle’Enciclopedia Treccani. Rémi Brague, professore di Filosofia araba alla Sorbona e anche all’Università Ludwig-Maximilian di Monaco ha sottolineato che «le due religioni che hanno segnato l’Europa sono l’ebraismo e il cristianesimo, e nessun’altra. Perché limitarsi a parlare di eredità religiosa e umanista? Un professore di storia non si accontenterebbe di tale definizione e scriverebbe in rosso, sul margine: “Troppo vago, precisate!”. Ciò che mi dà fastidio è lo stato d’animo che in questo si manifesta, e cioè l’impulso tipicamente ideologico di negare la realtà e riscrivere il passato. E negare la realtà porta necessariamente a distruggerla. La civiltà dell’Europa cristiana è stata costruita da gente il cui scopo non era affatto quello di costruire una “civiltà cristiana”. La dobbiamo a persone che credevano in Cristo, non a persone che credevano nel cristianesimo. Quella che si chiama “civiltà cristiana” non è nient’altro che l’insieme degli effetti collaterali che la fede in Cristo ha prodotto sulle civiltà che si trovavano sul suo cammino. Quando si crede alla Sua resurrezione, e alla possibilità della resurrezione di ogni uomo in Lui, si vede tutto in maniera diversa e si agisce di conseguenza, in tutti i campi. Ma serve molto tempo per rendersene conto e per realizzare questo nei fatti. Per questo, forse, noi siamo solo all’inizio del cristianesimo».

Davanti a Gesù Cristo non ci sono molte opzioni: dicendo di essere quel che disse di essere, o era un pazzo scatenato oppure aveva ragione. Ma può un pazzo scatenato essere all’origine della civiltà occidentale e orientale, come oggi insegnano gli storici?

La redazione

Fonte: Le radici cristiane sono un’evidenza laica per gli storici | UCCR.

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