L’Egitto scopre che i cristiani sono suoi cittadini | La Nuova Bussola Quotidiana

di Stefano Magni18-02-2015

Altri 35 cittadini egiziani sono stati rapiti dai miliziani jihadisti in Libia. La notizia del nuovo rapimento di massa è stata diffusa dal quotidiano Libya Herald e indirettamente confermata dal governo provvisorio islamico di Alba di Libia a Tripoli, che in mattinata aveva lanciato un appello: “Si chiede ai fratelli egiziani che lavorano in Libia di lasciare il paese entro un massimo di 48 ore per preservare la loro integrità di fronte a qualsiasi operazione di rappresaglia suscettibile di accrescere la tensione fra i due popoli fratelli”. Non sono passate nemmeno 24 ore dai primi raid egiziani in Libia, scattati come risposta all’assassinio di 21 cristiani copti da parte delle milizie dello Stato Islamico e subito è partita la contro-rappresaglia islamica.

Si teme che gli egiziani finiti nelle mani degli jihadisti, sempre che la notizia venga confermata, possano fare la stessa fine dei copti. E intanto l’Egitto sta vivendo un momento molto particolare. Sono giorni di lutto nazionale per l’assassinio dei copti, di preoccupazione e di clima d’emergenza per tentare di salvare i tantissimi egiziani ancora in territorio libico.

I cristiani copti egiziani sono morti da martiri. Lo conferma Anba Antonios Aziz Mina, Vescovo copto cattolico di Giuzeh, che dichira all’agenzia Fides. “Il video che ritrae la loro esecuzione è stato costruito come un’agghiacciante messinscena cinematografica, con l’intento di spargere terrore. Eppure, in quel prodotto diabolico della finzione e dell’orrore sanguinario, si vede che alcuni dei martiri, nel momento della loro barbara esecuzione, ripetono ‘Signore Gesù Cristo’. Il nome di Gesù è stata l’ultima parola affiorata sulle loro labbra. Come nella passione dei primi martiri, si sono affidati a Colui  che poco dopo li avrebbe accolti. E così hanno celebrato la loro vittoria, la vittoria che nessun carnefice potrà loro togliere. Quel nome sussurrato nell’ultimo istante è stato come il sigillo del loro martirio”.

Si moltiplicano le iniziative di solidarietà, da parte del governo e delle autorità religiose. Lunedì il patriarca di Alessandria Tawadros, a capo della Chiesa copta ortodossa, ha ricevuto numerose visite, ufficiali e private per le condoglianze. Fra questi, anche l’incaricato d’affari della Nunziatura vaticana, accompagnato da Rafic Greiche, protavoce della Chiesa cattolica in Egitto. In serata, lo stesso papa Francesco ha telefonato personalmente a Tawadros. Ieri, a Casa Santa Marta, il Santo Padre ha offerto la Messa alle vittime: “Offriamo questa Messa per i nostri 21 fratelli copti, sgozzati per il solo motivo di essere cristiani”. “Preghiamo – ha proseguito – per loro; che il Signore come martiri li accolga, per le loro famiglie, per il mio fratello Tawadros, che soffre tanto”.

Tutti i giornali egiziani, per due giorni hanno dedicato le loro prime pagine all’omicidio di massa dei cristiani, con titoli in nero, listati a lutto, mostrando le foto delle 21 vittime. Il presidente Al Sisi è andato di persona dal patriarca copto Tawadros per presentargli ufficialmente le condoglianze. Al Sisi ha poi annunciato che questi 21 egiziani uccisi in Libia sono veri “martiri”, come i loro concittadini assassinati di recente nel Sinai. Egli ha deciso di garantire a ogni famiglia degli uccisi un dono di 100mila sterline egiziane (circa 13mila dollari Usa), oltre a una regolare pensione e cure mediche per tutti i membri delle famiglie.

Eppure stiamo parlando dello stesso Egitto da cui ben 600mila cristiani sono dovuti fuggire dalle persecuzioni negli ultimi 30 anni. Soprusi, discriminazioni, minacce e vere e proprie persecuzioni subite sia sotto il governo “laico” di Moubarack, sia durante la rivoluzione e il governo islamico del presidente Morsi. La maggior di questi cristiani, più di mezzo milione, ha perso la casa o la propria attività commerciale, distrutte dalla furia di integralisti islamici che agivano impuniti, con la complicità passiva delle autorità. Intervenendo ieri, sul quotidiano britannico Telegraph, Rupert Scott, autore del libro-reportage Christianophobia, ha ricordato i racconti di questi copti fuggiti negli anni passati: “Uno di loro, un anziano, mi spiegava come nessuno studente di medicina cristiano nella sua università ad Asiut (Alto Egitto) venisse promosso nelle classi ‘buone’, ‘molto buone’ ed ‘eccellenti’ negli esami finali. Questa ingiustizia lo convinse che non avrebbe mai potuto prosperare nel suo paese, specialmente dopo la crescita, negli anni ’70, della Fratellanza Musulmana, i cui membri dominavano i campus universitari. ‘Hanno iniziato con l’attaccare gli studenti cristiani’ mi spiegava ‘facendo irruzione nei nostri alloggi e strappando le immagini della Vergine Maria e altro materiale religioso. Ne seguì una rissa. Io ed altri cristiani fummo espulsi dal campus universitario, ma i musulmani che avevano causato l’incidente non vennero puniti’. Il mio intervistato ebbe fortuna: altri studenti cristiani vennero assassinati”. Ma erano comuni anche le conversioni forzate, le conversioni ottenute con l’inganno (ci sono cristiani che hanno creduto di firmare una ricevuta e invece era un documento di adesione all’islam, capitava anche questo), gli omicidi, le rapine, le violenze endemiche degli anni della rivoluzione. L’inferno in terra dei cristiani egiziani è veramente finito?

Dopo l’esecuzione dei 21 copti da parte dei miliziani dello Stato Islamico, le autorità musulmane egiziane hanno partecipato al cordoglio nazionale. Lo sceicco Ahmad al Tayeb, l’imam della moschea di Al Azhar (il cuore del mondo islamico sunnita) e il Gran Muftì dell’Egitto, Shawqi Allam, hanno dichiarato che l’islam e “le religioni celesti” non possono giustificare i crimini degli jihadisti. Persino il più estremista dei partiti islamici egiziani, Al Nur, rilascia dichiarazioni di condanna : “questo terribile crimine rafforza la coesione degli egiziani”. Tutti i partiti politici e gli ambienti religiosi musulmani sono uniti nella condanna di questi assassini e dei continui attacchi dello Stato Islamico contro l’Egitto e gli egiziani, secondo il comunicato del partito salafita.

Eppure lo scrittore Alaa al-Aswany, da poco ricordava tutto il carico di odio anti-cristiano che si trova nei siti islamici radicali e ne citava alcuni estratti particolarmente significativi: “Essere una ragazza musulmana i cui modelli di vita sono le mogli del Profeta, a cui è richiesto di indossare lo hijab (velo, ndr), è meglio che essere una ragazza cristiana, i cui modelli di vita sono le prostitute”. Oppure: “Essere un uomo musulmano che combatte per difendere l’onore e la fede è meglio che essere un uomo cristiano che ruba, violenta e uccide bambini”. Questa è la “serena” visione che hanno dei cristiani siti come i Guardiani della Fede, citato dallo scrittore.

Forse la solidarietà mostrata ai concittadini cristiani, considerati egiziani prima ancora che prostitute e uccisori di bambini, significa una (tardiva) presa di coscienza dell’opinione pubblica musulmana egiziana. Forse è solo tattica, considerando che lo Stato Islamico ha dichiarato guerra a tutti gli altri gruppi radicali islamici, compresa Al Qaeda (che ora, al confronto, appare quasi “moderata”). O è una svolta impressa da Al Sisi e dalla rivoluzione “Tamarod” che lo ha portato al potere, come reazione all’esasperante governo islamico di Morsi. Solo il tempo giudicherà.

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