L’eliocentrismo ha messo in crisi la teologia? No, ha elevato l’uomo | UCCR

di Francesco Agnoli*
*scrittore e saggista

L’effetto più evidente, per l’osservatore superficiale, della rivoluzione astronomica, è la fine del sistema aristotelico-tolemaico, e di conseguenza del geocentrismo. Su questa semplificazione sono nate tante affermazioni errate.

Si dice spesso, infatti, che l’eliocentrismo copernicano, che in verità verrà dimostrato solamente all’inizio dell’Ottocento, avrebbe avuto conseguenze filosofiche e teologiche mettendo in crisi l’antropocentrismo biblico. L’uomo si sarebbe cioè ritrovato piccolo, e insignificante, spodestato e detronizzato, sperso in un universo sempre più grande: non più al centro del mondo.

In realtà è vero il contrario. Tutto il pensiero antico, greco, persiano, indiano, arabo, in una parola astrologico, era cosmocentrico, non antropocentrico, e la Terra era al centro fisico dell’Universo, nel sistema aristotelico tolemaico, non per la sua maggiore dignità, ma al contrario, per la sua miseria e insignificanza, rispetto agli altri corpi celesti. L’astrologia, combattuta prima dal pensiero cristiano, poi sconfitta dalla rivoluzione astronomica e scientifica e dalle condanne papali, sino a Sisto V (bolla Coeli et terrae, 1586), si fondava cioè sull’idea del cielo come “causa efficiente universale”, espressa ad esempio dal medico-astrologo Pietro D’Abano, nel XIII secolo: “questo mondo inferiore (la Terra, ndr) è in necessaria continuità con i movimenti sovrastanti: così che tutta la sua potenza è governata dall’alto. Il mutamento delle cose terrestri in relazione a questo o quell’individuo deriva dal mutamento dei corpi celesti. Pertanto colui che intende investigare le cause delle cose dovrebbe innanzitutto contemplare i corpi celesti” ( Il Rinascimento italiano e l’Europa, Vol. V, le scienze, pag. 51, Fondazione Cassamarca, Vicenza 2008).

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