L’eugenetica di soppiatto

La Corte Europea dei Diritti dell’uomo apre all’eugenetica anche in Italia.

Nella decisione non definitiva resa ieri nella questione C. P. c. Italie ha affermato che il nostro paese, con la L. 40 sulla procreazione medicalmente assistita, avrebbe violato la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, impedendo a una coppia portatrice di una malattia genetica di ricorrere alla diagnosi preimpianto, cioè alla selezione degli embrioni creati in vitro, con l’eliminazione degli embrioni malati, e l’impianto di quelli non portatori dell’anomalia genetica.

La diagnosi preimpianto consente di realizzare il diritto della coppia alla procreazione di un figlio sano, al prezzo della soppressione di altri embrioni e possibili figli, affetti dalla stessa malattia dei genitori.

In questo modo però – sia pure per un fine che appare “umano”, come quello di avere figli sani – si legittimano forme di selezione della prole che sono invece profondamente disumane, avendo come contenuto oggettivo il diritto dei genitori di decidere chi, e con quali caratteristiche, far nascere o non nascere qualcuno.

La vicenda riguarda una coppia italiana portatrice sana di mucoviscidosi, anche conosciuta col nome di fibrosi cistica, malattia genetica che è abitualmente causa di problemi respiratori e che può rivelarsi fatale. La coppia ha avuto un primo figlio affetto dalla malattia. Accortisi di essere portatori sani, i genitori alla seconda gravidanza hanno effettuato una diagnosi prenatale, che ha rivelato che il feto era malato, e sono quindi ricorsi all’aborto previsto dalla legge italiana. Hanno quindi chiesto l’accesso alle procedure di procreazione medicalmente assistita, in modo da poter avere un’analisi genetica delle cellule embrionali ed evitare così l’impianto di un figlio affetto dalla malattia genetica.

La legge italiana vieta la diagnosi preimpianto, proprio perché il fine perseguito è quello di “favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dall’infertilità umana”, quando non vi siano altri metodi terapeutici efficaci, cioè di aumentare le possibilità di avere un figlio; e non è invece quello di permettere ai genitori di scegliere un figlio e di sceglierlo sano.

La Corte Europea ha però deciso che il desiderio dei ricorrenti di ricorrere alla diagnosi preimpianto per avere un figlio sano costituisce “una forma di espressione della loro vita privata e familiare” rilevante ai sensi dell’art. 8 della Convenzione europea (si traduca con diritto di autodeterminazione).

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