Libertà religiosa Meriam deve vivere. Ma non solo – MissiOnLine.org

La campagna per la donna sudanese accusata di apostasia ha ottenuto un primo risultato: ci sarà un nuovo processo che rivedrà la pena di morte. Ma intanto resta in carcere solamente perché cristiana.

C’è uno spiraglio nella vicenda di Meriam Ishag, la madre cristiana condannata all’impiccagione per apostasia in Sudan, per la quale da ieri è partita una campagna internazionale tempestivamente rilanciata in Italia da Avvenire. Italians for Darfur – l’ong che segue da vicino il caso di questa donna di 27 anni arrestata il 17 febbraio scorso dalle forze di polizia sudanese insieme al  figlio di 20 mesi, e in attesa di un secondo figlio – ha reso noto oggi che gli avvocati di Meriam hanno ottenuto rassicurazioni sul fatto che avrà un nuovo processo e che per lei non sarà prevista la pena di morte.

La mobilitazione internazionale ha dunque sortito un primo effetto a Khartoum. Ma va ricordato che si tratta solo di un primo passo: Meriam resta comunque in carcere da ormai tre mesi con l’unica «colpa» di essere diventata cristiana, una volta abbandonata dal padre mussulmano. E di essere ora considerata un’«adultera» per essersi sposata con un cristiano. Dunque, se è vero che per il momento pare scongiurato il pericolo dell’impiccagione, resta comunque l’atrocità di una lunga detenzione che rischia di trasformarsi in una vicenda del tutto simile a quella di Asia Bibi in Pakistan, in carcere da ormai quasi quattro anni perché accusata (senza alcuna prova) di blasfemia.

Per questo motivo invitiamo anche i nostri lettori a sostenere la campagna di Avvenire inviando un messaggio di solidarietà all’indirizzo mail [email protected] oppure con un tweet accompagnato dall’hashtag #meriamdevevivere.

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