L’ombra jihadista sulla Libia

Nel fine settimana è esplosa una autobomba a Bengasi facendo una quindicina di vittime. Quali gruppi possono aver organizzato quest’azione?
La dinamica dell’attentato fa pensare a quelli che venivano fatti in Iraq per colpire nel mucchio – osserva Arturo Varvelli, ricercatore Ispi e autore del Rapporto per l’Osservatorio di politica internazionale di Camera e Senato intitolato Il nuovo Jihadismo in Nord Africa e nel Sahel -. Dietro questi attentati c’è una convergenza tra le milizie gheddafiani e i fondamentalisti islamici nel creare instabilità nel Paese. Però tra i due gruppi c’è conflittualità. I gruppi del fondamentalismo islamico stanno compiendo omicidi mirati nei confronti dei capi gheddafiani. Lo stesso avviene a parti inverse, anche se con minore intensità. Credo che questi attentati siano stati organizzati da gruppi del radicalismo islamico.

Perché hanno colpito Bengasi? Bengasi non è la città più radicale dal punto di vista religioso?
In Libia le tensioni nascono non tanto dal confronto-scontro tra la Tripolitania e la Cirenaica, una più occidentale e l’altra più islamica, quanto tra le città e il resto del Paese. Nei grandi centri è meno forte la presenza dei fondamentalisti islamici, che invece sono più radicati nelle aree rurali. Nelle città è infatti più radicata una classe borghese che, in parte, era stata esclusa dal potere gheddafiano, e in questo ultimo periodo ha avuto una parte importante nel nuovo assetto politico. A Bengasi e Tripoli sono meno presenti i salafiti. In queste città sono anche state più forti le manifestazioni contro le milizie.

I fondamentalisti stanno prendendo piede?
Sì, soprattutto nelle aree non urbane della Cirenaica. Per quanto si sa, in Libia esistono tre campi di addestramento. Qui arrivano miliziani da tutto il Nord Africa, ricevono una formazione militare e vengono poi inviati in Siria, la nuova frontiera del jihadismo.

Quale ruolo hanno oggi le milizie militari?
Il governo sta cercando di cooptarle nell’esercito e nelle forze di sicurezza. Secondo me non ci sta riuscendo perché i miliziani mantengono sempre una doppia fedeltà: all’autorità nazionale e ai capi di loro clan. Alcune di queste milizie però hanno mantenuto le armi e operano come gruppi paramilitari minacciando la stabilità. Altre invece si stanno trasformando in centri di assistenza sociale colmando le lacune dello Stato libico. Seguono il modello dei Fratelli musulmani in Egitto, di Hamas nella Striscia di Gaza, ecc.

Il Parlamento libico ha approvato una legge che esclude da qualsiasi carica chiunque abbia avuto un ruolo nell’amministrazione Gheddafi. Chi favorirà questo provvedimento?
Molti liberali provengono dall’amministrazione gheddafiana, quindi loro sono certamente i più penalizzati. Ciò favorisce la Fratellanza musulmana che durante i 40 anni di potere gheddafiano è sempre rimasta in clandestinità. Tradizionalmente i Fratelli musulmani non hanno avuto un grande radicamento sul territorio perché Gheddafi, redistribuendo le rendite petrolifere, garantiva quei servizi che altrove sono offerti proprio dalla Fratellanza. In questi ultimi anni però si sta riorganizzando e sta recuperando il ritardo.

La Libia quali rapporti mantiene con l’Italia?
Nel gennaio 2012 il premier italiano Mario Monti si è recato in Libia per confermare il Trattato di amicizia tra i due Paesi. In aprile il ministro Cancellieri ha poi riattivato l’intesa sul controllo dei flussi migratori. Tutto quindi è rimasto uguale, salvo il peso politico dell’Italia in Libia che è stato eroso fortemente dall’atteggiamento e il ruolo mantenuto durante la guerra civile.
Enrico Casale

Fonte: L’ombra jihadista sulla Libia.

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