Lui nasce anche in Siria | Commenti | www.avvenire.it

Arriva Natale. Anche in Siria, ad Aleppo, a Homs. Nel nostro villaggio. Si può, quest’anno, con questa guerra fratricida, dirci buon Natale? Sì, più che mai. Non solo si può, ma è urgente. Prima di tutto perché ciò di cui facciamo memoria è la venuta di Dio fra gli uomini. Aldilà di ogni nostra vicenda umana, per quanto tragica sia, questa è la cosa inaudita: Dio è l’Imanu­El, il Dio con noi.

Questo ci riguarda da vicino, ora.

Non celebriamo il Natale come una favola o un buon proposito, per dirci quanto sarebbe bello volersi tutti bene. Non lo celebriamo per dimenticare i nostri morti, per avere almeno per qualche ora il cuore leggero. Celebriamo il Natale perché guardando quel Bambino in un presepe non dimentichiamo che proprio Lui è l’Uomo risorto che è disceso in tutti i nostri inferni. Per liberare tutti i morti senza luce. Per redimerli, e quanto bisogno di redenzione abbiamo, tutti! Chi uccide e chi è stato ucciso, chi odia, chi soffre, chi dispera, chi sfrutta, chi non riesce a perdonare, chi fa il furbo, chi vive solo in superficie.

Celebriamo il Natale perché è già Pasqua, un passaggio, l’unica via di uscita dalle nostre schiavitù, perché non c’è altra luce vera, nel mondo, non altra salvezza. Il dolore non va perduto, risorge in vita nuova. È questa, la Pace sulla terra.

È Natale, in Siria, e non riguarda solo i cristiani. Perché anche i nostri fratelli musulmani ricordano il Natale di Gesù. È nel loro Libro sacro, e se anche non lo riconoscono come Dio, lo venerano come profeta. E proclamano la verginità di sua Madre. Siamo strani, noi figli di Abramo. Così vicini, così separati.

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