Malgrado gli approcci del papa, nuove misure restrittive sui cristiani in Cina – Aleteia

Più di 60 chiese distrutte in una provincia

di Steven W. Mosher

Mentre il charter su cui si trovava passava sopra la Cina il 15 agosto in viaggio verso la Corea del Sud, papa Francesco ha trasmesso via radio un messaggio a Xi Jinping, guida del Partito Comunista Cinese. “Entrando nello spazio aereo cinese, porgo i miei migliori auguri a sua eccellenza e a tutti i suoi concittadini e invoco la benedizione divina di pace”.

Il fatto che la Cina abbia permesso il sorvolo del suo territorio ha sorpreso qualcuno. L’ultima volta che era stata avanzata una richiesta di questo tipo, nel 1989, Pechino aveva opposto un netto rifiuto. L’aereo – anch’esso diretto in Corea dl Sud e sul quale viaggiava Giovanni Paolo II – venne costretto ad evitare la Cina compiendo una lunga deviazione a nord attraverso la Siberia.

Esiterei ad ogni modo a definire questo gesto, come ha fatto qualcuno, “un’apertura diplomatica alla Santa Sede”.

È indubbio che papa Francesco, come i suoi predecessori, sia ansioso di far visita ai 12 milioni o più di cattolici perseguitati che vivono in Cina. Nel viaggio di ritorno lo ha detto chiaramente, dicendo ai giornalisti che andrebbe in Cina “domani” se Pechino approvasse la sua visita.

Non sembra che l’eventualità si possa verificare presto. Per una serie di ragioni, i leader cinesi sembrano intenti a tenere il pastore universale lontano dai membri del suo gregge cinese. Hanno perfino impedito che gruppi di pellegrini cattolici andassero in Corea del Sud durante la visita papale di cinque giorni nel Paese.

Il problema immediato è che la Chiesa cattolica è attualmente alle prese con le più severe misure restrittive al cristianesimo che il Paese abbia visto in anni, forse decenni. Nella provincia di Zhejiang, ad esempio, secondo China Aid più di 60 chiese sono state totalmente o parzialmente demolite, inclusa una chiesa cattolica fuori dalla città di Wenzhou.

Molti vescovi cattolici sono agli arresti domiciliari per aver respinto l’autorità dell’Associazione Patriottica (AP), un’organizzazione istituita dal Partito Comunista che rifiuta l’autorità del papa. L’amministratore apostolico padre Peng Weizhao è agli arresti in un ostello nella provincia sud-orientale di Jiangxi da maggio.

C’è poi un vescovo ausiliare di Shanghai, Thaddeus Ma, che negli ultimi due anni è stato confinato in un seminario sotto sorveglianza. Il suo crimine è aver annunciato pubblicamente, e dal pulpito, durante la sua Messa di ordinazione nel 2012 che stava abbandonando l’AP. La congregazione ha salutato il suo annuncio con applausi fragorosi, a dimostrazione di quanto i fedeli cattolici disprezzino quell’organizzazione.

Da un certo punto di vista, tutto ciò non è affatto nuovo. Anche durante la guerra civile cinese la Chiesa cattolica era sospetta agli occhi del Partito Comunista Cinese. Ciò derivava in parte dall’ateismo automatico del partito e in parte dal fatto che Mao sospettava che i cattolici avessero lealtà divise e fossero sotto “un’influenza straniera”. Fece espellere l’ultimo nunzio papale in Cina nel 1951, più di sessant’anni fa, con inventate accuse di spionaggio. Nei decenni successivi molti sacerdoti, vescovi e laici sono stati condannati a lunghe pene detentive. Pechino era anche irritata dall’insistenza della Santa Sede nel voler mantenere relazioni diplomatiche con il nemico storico della Cina, la Repubblica Cinese di Taiwan.

Le relazioni sembravano in via di ripresa dieci anni fa. Il Vaticano aveva chiarito che era disponibile a passare le proprie relazioni con Taiwan allo status consolare e ad aprire un’ambasciata a Pechino. Anche se ciò deve ancora avvenire, l’offerta del Vaticano sembra aver allentato le tensioni.

Le due parti avevano anche raggiunto un tacito accordo su un punto morto fondamentale: la nomina di nuovi vescovi. In base alle nuove intese, l’Associazione Patriottica avrebbe nominato i candidati all’episcopato, ma questi sarebbero stati ordinati solo se il papa, in seguito a una verifica dei requisiti dei candidati, avesse dato la propria benedizione.

Quando ho incontrato il cardinale Joseph Zen di Hong Kong nel 2009, mi ha assicurato che “la stragrande maggioranza dei vescovi nella Chiesa ufficiale ha cercato, e ha ottenuto, l’approvazione del Santo Padre per il proprio officio”. La profonda divisione tra vescovi “sotterranei” (ordinati dal papa e che rifiutano l’AP) e vescovi “patriottici” (ordinati illecitamente dall’AP) sembrava sul punto di sanarsi. Il cardinale ha detto che auspicava una “normalizzazione” delle relazioni con il Governo.

Purtroppo non è accaduto. Dopo che 10 vescovi erano stati ordinati con la doppia approvazione di Pechino e della Santa Sede, il tacito accordo sulle nomine è saltato nel 2010. In quell’anno l’AP ha ordinato illecitamente all’episcopato una serie di candidati senza requisiti e non approvati. Il principale tra questi era padre Guo Jincai, la cui vicinanza al regime è indicata dal fatto che è membro del Congresso Popolare Nazionale e vicepresidente dell’AP. Il Vaticano ha risposto scomunicando il sacerdote, al quale aveva chiesto ripetutamente di non accettare l’“ordinazione”.

Quanto ai cattolici cinesi, rimangono cittadini di seconda classe. Non è loro permesso di unirsi al Partito Comunista Cinese, che resta ufficialmente ateo. Non possono occupare posizioni governative di rilievo e, cosa più significativa, non possono appartenere alle forze armate. Quando ho chiesto a un cattolico cinese perché fosse così, ha replicato brevemente: “Non si fidano se portiamo dei fucili”.

In questo momento, la persecuzione sembra intensificarsi in varie province oltre a quella di Zhejiang, dove le autorità stanno chiudendo le chiese. Ai cristiani di tutte le fedi nella vicina provincia di Henan è stato detto che non è permesso loro condividere la propria fede con chi ha meno di 18 anni, anche se sono i propri figli. Il tentativo di controllare la diffusione del cristianesimo da parte del Partito Comunista Cinese potrebbe essere una reazione ai resoconti per i quali in Cina ci sarebbero attualmente più cristiani che comunisti.

La grande domanda che i cattolici cinesi si stanno ponendo è tuttavia se questa nuova ostilità nei confronti dei cristiani in generale e dei cattolici in particolare non sia un preludio a una campagna nazionale anticristiana. Il Partito Comunista Cinese usa spesso una provincia o due per “testare” una nuova politica prima di applicarla a livello nazionale. Se ciò che sta accadendo nelle province di Zhejiang e Henan è un presagio per il futuro, allora la Chiesa cattolica in Cina, da lungo sofferente, avrà molti più motivi per soffrire negli anni a venire.

E “Pastore Uno”, come la stampa ha soprannominato l’aereo del pontefice, non atterrerà a Pechino molto presto.

Steven W. Mosher è presidente del Population Research Institute e autore di Population Control: Real Costs, Illusory Benefits.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

sources: ALETEIA

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