MALI/ Così la Francia mette a rischio Europa e cristiani

Giuseppe Pennisi

sabato 19 gennaio 2013

In questi giorni, la stampa italiana si interessa molto del Mali, nonostante sino a poche settimane fa molti nostri giornalisti non sapessero dove indicare il Paese sulla carta geografica (anche se la crisi politica e militare maliana, e lo scontro tra islamisti radicali e moderati fossero noti da tempo a chi si interessa dei problemi non solo dell’Africa a Sud del Sahara ma anche del Mediterraneo). In effetti, ho letto un unico articolo equilibrato e ben informato (sotto il profilo dell’analisi politica) quello di Nicoletta Pirozzi su Affari Internazionali, il bel magazine dell’Istituto Affari Internazionali. È una dura requisitoria contro la politica estera francese in Africa (e nel Mediterraneo), un avvertimento all’Unione europea (e agli Stati che ne fanno parte) a non seguirla e una proposta su come risolvere la crisi facendo leva sulle organizzazioni regionali africane (prime tra tutte l’Ecowas) nell’ambito dell’Unione africana.

Nicoletta Pirozzi non tratta, però, né delle lunghe premesse storiche della crisi, né del suo significato economico. Il Mali non è solo una vasta e ondulata distesa di sabbia sino al fiume di Niger, ai suoi affluenti e alla catena di montagne che lo separa dal Burkina Faso. È anche il terzo produttore d’oro del mondo, uno dei maggiori esportatori di carne e di bestiame e uno dei maggiori esportatori di cotone a fibra lunga (molto ricercato per la haute couture). Non è poi escluso che il suo sottosuolo contenga petrolio e potassio (sono in corso ricerche) di qualità simili a quelle del Marocco e dell’Algeria.

Nei 18 anni passati in Banca Mondiale e nei quattro passati alla Fao ho lavorato prevalentemente sull’Estremo Oriente e sull’Africa a Sud del Sahara.

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