Mamma, l’ora di religione non mi va, non la fa nessuno… [2]

Considerazioni sull’articolo di Beppe Severgnini

Ho letto con interesse quanto scrive Beppe Severgnini a proposito dell’ora di religione cattolica nelle scuole dello stato, in risposta a una lettera di una mamma preoccupata perché sua figlia non vuole più frequentare detta materia.
E mi compiaccio del fatto che sembra scomparsa quella stupida e abitudinaria acredine nei confronti di un insegnamento che – ancora oggi – viene richiesto da moltissime famiglie e da altrettanti studenti.
Nicola Incampo riprende, colla sua solita competenza e precisione, le ragioni che motivano la presenza dell’IRC nella scuola: ragioni storiche e culturali, e niente affatto di natura «confessionale». E non posso qui che ricordare quanto il Card. Martini diceva, anni fa, a proposito della presenza di tale insegnamento nella scuola di tutti: «Perché e come entra l’insegnamento della religione “nel quadro delle finalità della scuola”? Entra per svolgere un servizio alla scuola e alle sue finalità. Abbiamo visto che una finalità della scuola è quella di porre il problema del rapporto dei dati scientifici e storici con il significato che essi hanno per la coscienza e la libertà. Orbene la coscienza e la libertà chiamano in causa i beni ultimi, universali, fondamentali dell’esistenza. Quello che, poi, la coscienza e la libertà decideranno circa questi beni, è un compito delle singole persone. Ma è compito della scuola porre correttamente il problema. L’insegnamento della religione, che riguarda appunto le questioni decisive, i fini ultimi della vita, aiuta la scuola a svolgere questo compito. L’aiuta entrando in dialogo con le altre materie di insegnamento, ma conservando una propria specificità, che non può essere confusa con gli scopi delle altre materie. Le altre materie trattano degli oggetti loro propri e fanno emergere l’esigenza di considerare il problema della libertà e della coscienza. L’insegnamento della religione accoglie questa esigenza e mette a tema il rapporto della coscienza e della libertà con i fini ultimi. Non è quindi adeguandosi alle altre materie, ma, al contrario, differenziandosi da esse, pur in un costante dialogo, che l’insegnamento della religione aiuta la scuola a raggiungere le sue finalità.»
E Paolo Mieli, ad un Convegno organizzato da CulturaCattolica.it sottolineava: «Io ero un non credente che invitato a partecipare a quell’ora la sceglieva volontariamente, a differenza di tutte le altre ore di scuola. Le altre ore di scuola le facevo perché ero tenuto a farle, perché la famiglia mi obbligava a farle, perché dovevo crescere, dovevo diplomarmi, dovevo prendere la maturità e poi laurearmi. Quell’ora, invece, me la sceglievo, per cui nella storia della mia giovinezza l’ora di religione è l’ora della scelta, l’ora della libertà, l’ora del confronto, l’ora della crescita.»
Così l’ora di religione cattolica nella scuola contribuisce a formare i giovani nello spirito di una cultura che sappia trovare le ragioni della propria storia, una capacità di dialogo e confronto, una riscoperta della propria identità, il superamento di quel rozzo fanatismo che a volte inquina le stesse aule scolastiche.
Ho sempre ricordato ai miei alunni: «Che cosa ci perdete a imparare la vostra storia? A conoscere i contenuti del cattolicesimo?», nella consapevolezza che nessuno ha mai voluto imporre una sua certa concezione della vita e della realtà. Cristo ci ha insegnato un amore profondo alla libertà dell’uomo, e una fede che fosse in qualche modo «estorta», sia pure per buona volontà, non sarebbe tale.
Certo, bisogna che la dottrina cattolica ritorni ad essere comunicata nella sua integralità, e che certi insegnanti smettano di proporre se stessi o le proprie opinioni invece che ciò per cui occupano il posto di insegnamento. Nella chiarezza c’è maggiore libertà. Non possiamo concepirci come insegnanti «indottrinatori»: la storia del ’68 ha mostrato i danni di questa posizione.
I giovani non hanno bisogno di chi «pensi per loro», ma di maestri che insegnino a pensare. Già san Paolo ricordava: «Esaminate ogni cosa, trattenete ciò che vale» [1 Tess 5,21] e incontrare nella scuola maestri così è un bene per tutti. A me è accaduto, negli anni della scuola media e del Liceo. E questo ha aiutato a intessere legami seri e duraturi.
E i giovani non hanno bisogno di chi li solleciti nel disimpegno, né nella acquiescenza a mode passeggere, ma di maestri che sappiano testimoniare la bellezza dell’essere uomini, del presente, perché fieri di un passato che ci ha generato. E se in altri tempi si è cercato, dando spazio alla cosiddetta «ora del nulla» (che significava uscire dalla scuola o ammazzare l’ora, senza alcun controllo e proposta), di distogliere i giovani da un incontro serio colla tradizione cristiana dell’Italia e dell’Europa, ora è giunto il momento di un serio e qualificato servizio. La Chiesa se ne è fatto carico da tempo, molti docenti sono anche professionalmente carichi di dignità, chissà che anche il corpo docente nel suo insieme sappia motivare i giovani per questo studio utile e indispensabile perché la scuola sia sempre più al servizio delle nuove generazioni.
P.S.: Ho insistito sull’IRC (dove la «C» sta per Cattolica) perché non di «religioni» si tratta (e quindi di «storia delle religioni», che dovrebbe essere compito delle materie in cui si studia il passato o le altre popolazioni) ma di quel fenomeno, il cattolicesimo appunto, che ci consente di essere cittadini consapevoli e responsabili della nostra Italia, capaci di incontrare allora, senza complessi di inferiorità né di superiorità, i tanti giovani che incontreremo sulla nostra strada.

Fonte: Mamma, l’ora di religione non mi va, non la fa nessuno… [2].

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