Marocco: primavera, forse; araba, meno

Marocco, secondo viaggio, un anno dopo. 10 settembre, notte, a Casablanca. La radio del taxi trasmette un concitato dibattito, dai toni esasperati e polemici. Chiedo spiegazioni. Si tratta di calcio, dice l’autista. La nazionale marocchina ha fatto una magra figura col Mozambico. Gli ascoltatori, telefonano. Inveiscono contro l’allenatore francese che, in un paese povero come il Marocco, prende uno stipendio esagerato. E fa pure fiasco. E il nodo non è il “fiasco”, ma il rapporto stipendio-paese. Chi ha detto che anche qui non t’insegnino qualcosa. Per due giorni a fila, non si parla che di questo. Senza il mio computer, e senza giornali europei, introvabili lungo il mio itinerario, di tutto quel che succede nel mondo, so solo del “lutto” calcistico locale.Finché una persona amica mi chiede che ne penso delle sommosse nel mondo islamico per il film americano, nonché blasfemo, su Maometto. Quale film? Non ne so nulla. Qui vedo tutti indignati per il calcio, dico, e mi rendo poi conto della mia involontaria ironia, nonché sferzante,se percepita come voluta.Infatti il sorrisetto amaro della mia informatrice, tradisce l’effetto. Mi spiega e mi racconta del film. E sul televisore di casa cerca i canali satellitari di informazione continua, che non trasmettono altro che putiferi e botte in mezzo mondo, causa film blasfemo. Colpito dalla coralità della risposta, e dalle immagini sottotitolate, sono ovviamente preoccupato per quel vedo. Un po’ meno per quel che vivo, in quel paese.

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