Mauro Magatti: “Quella lezione di Havel sul totalitarismo”

Rileggendo Il potere dei senza potere, ristampato da Itaca Libri nel 2013, «si ha la sensazione che Vaclav Havel stia parlando non di un mondo che non c’è più, ma esattamente di quello che stiamo vivendo». Dal numero di ottobre di Popoli, anticipiamo la rubrica “Sul comodino”, firmata questo mese dal sociologo Mauro Magatti.

 

Vaclav Havel è un dissidente cecoslovacco che ebbe un ruolo importante, non solo nel suo Paese ma anche sul piano internazionale, nel quadro della grande transizione storica che ha portato al dissolvimento del regime sovietico. Drammaturgo, Havel viene coinvolto nella vita politica suo malgrado, trascinato dalla indignazione morale che gli nasceva dal constatare la condizione inaccettabile nella quale lui stesso, al pari di molti concittadini, si trovava a vivere.

Uscito nel 1978, Il potere dei senza potere è il primo libro scritto da Havel ed è stato ristampato nel 2013 da Itaca Libri (introduzione di Marta Cartabia, pp. 208, euro 15). Il volume comincia introducendo la nozione di sistema post-totalitario per qualificare il mondo sovietico. Un sistema nel quale la violenza esplicita viene limitata a casi straordinari, ma dove è all’opera la costruzione forzosa di una rappresentazione sotto la quale si vuole far rientrare l’intera realtà. A partire da questa lucida intuizione, Havel ricostruisce con precisione i meccanismi che sono all’opera e che consentono a un potere chiuso e ottuso di stabilizzare la situazione. Un potere che Havel denuncia come inaccettabile.

Per far questo, Havel si appella a un termine che è diventato estraneo a noi post-moderni occidentali che è quello di verità. L’unica via per opporsi a un regime che si nasconde fino a sembrare invisibile è fare appello alla verità che emerge dal contrasto evidente tra la vita quotidiana delle persone e le dichiarazioni, stracolme di ideologia, del regime. È facendo leva su questo iato che Havel costruisce la forza del suo discorso e della sua azione.

Leggere Il potere dei senza potere, a 35 anni dalla sua prima uscita nella Cecoslovacchia sovietica degli anni Settanta, è un’esperienza impressionante. Perché leggendo queste pagine si ha la netta sensazione che Havel stia parlando non di un mondo che non c’e più, ma esattamente di quello che stiamo vivendo in Italia e in Occidente in questi anni. Da questo punto di vista, la lettura d Havel è davvero preziosa. Per almeno tre motivi.

Il primo è che, anche se non sempre ce ne rendiamo conto, anche noi siamo in un regime post-totalitario. Certo molto diverso da quello sovietico. Formalmente viviamo in un contesto di libertà. Ma anche la nostra esperienza è plasmata da sistemi di potere che investono enormi risorse a legittimare quello che non è legittimabile. Basti citare il caso della finanziarizzazione e di tutto quello che si è portato dietro.

Il secondo motivo è che Havel ci indica la via della dissidenza. Oltre a un certo punto, esiste il dovere di non accettare ciò che non è accettabile e di assumere una posizione di responsabilità. La dissidenza non è ancora una proposta compiuta, ma è l’inizio di una presa di consapevolezza che le cose devono cambiare.

Il terzo motivo è che Havel mette al centro della scena non i sistemi che organizzano la nostra società, ma la vita delle persone, le loro speranze, le loro paure. Cambiare il punto di vista è decisivo: è da qui che può partire il cambiamento.

Mauro Magatti
Sociologo ed economista, è professore ordinario di Sociologia generale all’Università Cattolica di Milano.
Autore di svariate monografie e saggi su riviste italiane e straniere, è editorialista del
Corriere della Sera.

Fonte: Mauro Magatti: “Quella lezione di Havel sul totalitarismo”.

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