Messa per Rimsha. Liberatela!

«Pregare non significa evadere dalla storia e dai problemi che essa presenta. Al contrario, è scegliere di affrontare la realtà non da soli, ma con la forza che viene dall’alto, la forza della verità e dell’amore la cui ultima sorgente è Dio. L’uomo religioso, di fronte alle insidie del male, sa di poter contare su Dio: assoluta volontà di bene; sa di poterlo pregare per ottenere il coraggio di affrontare le difficoltà, anche le più dure, con personale responsabilità».
(Giovanni Paolo II, “Avvenire”, 25 gennaio 2002)
Io non lo so quanti hanno aderito all’iniziativa lanciata dal nostro sito. Non so in quante chiese, ieri, i sacerdoti hanno ricordato la piccola Rimsha e, con lei, i cristiani perseguitati nel mondo.
Non lo so. Posso però raccontare cos’è germogliato dal mio piccolo «sì!».
L’incontro con il parroco del Duomo, e la chiacchierata con lui sull’ingiusta prigionia subita da questa bimba disabile. Sulla sua liberazione. Sul dramma senza fine dei cristiani perseguitati nel mondo. Sull’indifferenza che diventa complicità. Sull’urgenza della nostra testimonianza coraggiosa. Sull’impegno missionario che è responsabilità di ciascuno…
«Sì» ha voluto dire riconoscere come la preghiera e il sacramento eucaristico “com-prendono” la realtà e vengono prima di ogni azione dell’uomo, perché le danno senso.
«Sì» è stato mettersi in ginocchio davanti a Dio, grati per Rimsha liberata; grati perché noi cristiani, qui, non viviamo nella paura: non rischiamo la vita, o il carcere, per la nostra fede.
E’ stato, in ginocchio, domandare perdono al Signore perché è proprio questo che ci frega: nella (finta) tolleranza che riservano a noi cristiani in Italia, mille volte al giorno tradiamo, mille volte al giorno Lo rinneghiamo vivendo come non fossimo Suoi.
E’ stato sentirsi “popolo”: fratelli dei nostri fratelli perseguitati. E provare sulla carne il loro stesso dolore. Come quando duole una parte del corpo e soffri tutto.
E’ stata la percezione di ciò che significa “comunione” (…chissà in quante chiese altri sacerdoti, altri fedeli ieri hanno pregato per Rimsha, per i nostri fratelli perseguitati, per chi è costretto a fuggire dalla propria terra…)
E’ stato, il giorno della festa del Santissimo Nome di Maria, ritrovare coraggio e la direzione del cammino: la strada che conduce a Suo Figlio.
E’ stato un esempio, piccolo, di quando la fede diventa cultura.

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