«Mondo arabo, ascolta: servono riforme. Subito» | Mondo | www.avvenire.it

Il principe Alwaleed bin Talaal Bin Abdulaziz Al Saud è certamente uno degli esponenti più in vista della casa reale saudita, impegnato nella sua Kingdom Holding Company come in iniziative culturali e religiose a livello internazionale. Lo abbiamo incontrato nel suo ufficio di Riad.

Le interpretazioni sulla natura della primavera araba continuano a divergere mentre il mondo arabo è ancora in fermento…
In Tunisia, Egitto e Libia ci sono state sollevazioni contro leader dispotici che non hanno avuto cura del proprio popolo e abbiamo visto quanto è accaduto in Yemen. In Siria le richieste di natura sociale ed economica si sono trasformate in una autentica sollevazione contro Bashar Assad, infiltrata da al-Qaeda e altri interessi forti. Che ne sarà allora del mondo arabo? Parliamo di quattro sollevazioni – cinque inclusa la Siria – su un totale di ventidue Paesi arabi. Restano diciassette Paesi che quantomeno non soffrono di crisi di magnitudo comparabile. E tra questi c’è chi è più stabile, come i Paesi del Golfo, Bahrein incluso. Orbene, l’assunto era: «È come alla fine degli anni ottanta quando crollò il comunismo e i regimi vennero giù uno dopo l’altro». Lo si credeva, ma nel mondo arabo non è accaduto e qualcuno in occidente non è molto lieto che sia andata così. Ho già scritto che i Paesi arabi non raggiunti dalla primavera araba dovrebbero recepire il messaggio, sentire la sveglia: la gente araba ha partecipato a sommovimenti che non intendevano essere anti-americani, anti-israeliani o anti-occidentali. Sono invece moti spontanei, la gente chiede libertà, uguaglianza e fraternità… Liberté, Égalité, principi che tutto il mondo adotta, non solo l’Europa, gli Stati Uniti o il lontano Oriente. Semplicemente, vale lo stesso per il mondo arabo. Spero però che nei Paesi che hanno fatto esperienza di queste rivolte si torni presto alla stabilità. È facile iniziare una rivoluzione, non è facile finirla. Guardate alla Libia, alla Siria… Siamo tutti a favore di una buona rivoluzione veloce, ma ciò che vado ripetendo ai leader arabi è: «Per favore, recepite il messaggio: meglio avere evoluzioni pacifiche che rivoluzioni violente». Spero che nei diciassette Paesi arabi ancora stabili giunga il messaggio che siamo in tempo per le riforme. È la lezione che ci dà la storia, in particolare quella recente.

Lei ha scritto: «Le difficoltà verranno superate se saranno usate pazienza, prudenza, buona volontà e astuzia». È la formula con cui l’Arabia Saudita intende approfittare di questo momento per accrescere il suo ruolo guida?
Nel mondo arabo l’Arabia Saudita è un Paese guida, come Egitto, Iraq, Siria, che però ora hanno lasciato un vuoto che l’Arabia Saudita sta riempiendo di fatto, non essendoci alternativa. Lentamente ma con fiducia il regno saudita sta tenendo testa ai suoi doveri. I sauditi hanno un atteggiamento deciso sulla Siria e sulla causa palestinese e anche in Iraq e Bahrein siamo proattivi. Il vuoto arabo deve essere riempito. Il potere sulla terra è limitato, non infinito e se qualcuno come l’Arabia Saudita colma un vuoto, lo stesso vuoto non può essere colmato da altri come la Turchia, ad esempio. Per essere però un Paese guida dobbiamo anche compiere delle riforme al nostro interno. Le abbiamo già realizzate in campo sociale ed economico, ma ora occorrono quelle politiche. Abbiamo di fronte delle sfide. Per esempio, far sì che i membri del Majilis Al Shoura (l’assemblea consultiva, ndr) siano scelti tramite elezioni e far votare il popolo, così che in futuro abbia una voce. Questi sono forse solo dei cambiamenti minimi – perché già oggi il re lascia tutte le decisioni importanti al Majilis – ma dato che tutto ciò sta già accadendo, allora è meglio renderlo formale.

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