Mongolia: una chiesa che cresce in un territorio difficile

La testimonianza di padre Kuafa Hervé raccolta da Aiuto alla Chiesa che Soffre

ROMA, mercoledì, 23 maggio 2012 (ZENIT.org) – Il clima non è amichevole come quello che si respirava alcuni anni fa. Oggi in Mongolia l’annuncio della fede avviene solo all’interno delle chiese, i giovani fino a 16 anni non possono frequentare il catechismo senza il consenso scritto dei genitori e i sacerdoti non indossano l’abito talare in pubblico, perché non devono essere riconosciuti come esponenti del clero. «La nostra è una Chiesa tormentata» dichiara padre Kuafa Hervé, parroco della Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo di Ulan Bator. Il missionario appartenente all’istituto del Cuore Immacolato di Maria è anche un docente e racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre di essere costretto ad insegnare musica e francese, perché l’istruzione religiosa non è consentita nelle scuole statali.

La Costituzione mongola, risalente al 1992, riconosce formalmente il diritto alla libertà religiosa, ma ogni gruppo di fedeli deve essere registrato, previa autorizzazione del consiglio comunale. Una registrazione che permette al governo di limitare il numero dei luoghi di culto e quello dei sacerdoti.

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