Mons. Padovese, martire

«Se oggi crocifiggo un sacerdote in pubblico avrò successo e otterrò importanti premi. Se invece parlo bene di un prete, metteranno in croce me!»
(Juan Manuel Cotelo, regista del lungometraggio “L’Ultima Cima”)

Il 3 giugno di tre anni fa morì, sgozzato in odium fidei dall’autista islamico Murat Altun, mons. Luigi Padovese, Vicario apostolico dell’Anatolia. Il suo assassino, allora 26enne, è stato condannato a 15 anni di carcere. Il papà e la mamma di mons. Padovese erano delle mie parti, e qui a Summaga il vescovo veniva ogni volta che gli era possibile.
Oggi dunque prego per lui e per tutti i pastori che, a rischio della vita, guidano il popolo cristiano dove i cristiani sono apostrofati con il temine “javur”, (infedeli), dove la nostra fede sembra una colpa e la vita, per lei, è una croce sempre.
Ho pensato come ricordarlo e mi è venuta un’idea. Sono certa approverebbe, perché un prete vero non ferma lo sguardo su di sé, ma è con noi per insegnarci a guardare Chi guarda lui.
E’ quello che ha fatto anche don Pablo Dominguez, il sacerdote spagnolo protagonista del film-documentario “L’Ultima Cima”, ed è invitando i lettori a vedere questo lungometraggio che renderò oggi omaggio a mons. Padovese, a don Pablo, a tutti i preti che hanno consegnato la loro vita – tutta intera – nelle mani di Cristo. A loro, che sono stati chiamati per nome e senza clamore, ogni giorno, ci guidano a Lui.
Don Pablo non era vescovo, non era missionario, non è stato il fondatore di nessun ordine religioso. Un sacerdote come tanti, si direbbe. Sì. Semplicemente un buon prete. Come la maggioranza di cui non si parla mai.
Amante della montagna, è morto giovane, appena 42enne. E’ caduto mentre scalava la sua “ultima cima”: il monte Moncayo. Era arrivato in vetta, il punto dove la terra e il cielo si danno la mano. E’ morto tra quelle montagne: tempio non costruito da mani d’uomo, ma direttamente da Dio, dove amava celebrare l’Eucaristia.
Il regista Juan Manuel Cotelo l’aveva incontrato a febbraio del 2009, solo per pochi minuti, e appena dodici giorni dopo, in tivù, aveva sentito la notizia della sua morte. Da quell’incontro, brevissimo, sono nati altri incontri, altre storie. Frutti di Grazia che continuano ancora.
Non voglio anticipare nulla del film, per non rovinare la sorpresa. Dico che troverete un uomo, innanzitutto un uomo. La sua famiglia, i suoi amici, i suoi studi, le sue passioni… E troverete un buon prete. Che non significa uno che fa cose eccezionali, ma un uomo profondamente innamorato di Cristo, fiero di appartenere alla Sua Chiesa. Un sacerdote gioioso e ironico, amante della Verità. Fermissimo contro la dittatura del relativismo.
Vi invito a prestare attenzione alla storia del piccolo Juan e della sua mamma. Ascoltandola e guardando la foto scattata in ospedale in giorno del parto, capirete cosa significa l’amicizia cristiana.
Vi invito a guardare con attenzione un’altra foto, presentata nel documentario: è la foto di un uomo con la barba, un prete.
Fissatela nella mente, perché è quello lo sguardo dei sacerdoti sparsi nel mondo, nelle aree più difficili del mondo. E’ quello – ne sono certa – lo sguardo che aveva mons. Padovese quando il giovane Murat, il suo autista turco, lo colpiva con il coltello, per poi sgozzarlo. Deve averlo guardato con occhi così.
Don Pablo è morto il 15 febbario 2009, mons. Padovese esattamente tre anni fa. Le loro famiglie, i loro amici, le loro comunità avvertono il vuoto della loro assenza: lo dicono gli intervistati, nel lungometraggio di Cotelo; lo dicono le testimonianze dall’Anatolia, i ricordi di chi ha avuto mons. Padovese per amico, qui in Italia.
C’è però una cosa che succede solo tra i cristiani, e che davvero “fa la differenza”. L’ha raccontata, nel film, il padre di don Pablo.
Al di là del dolore – umanissimo – del distacco, il cuore lo sa che a dividerci dai nostri cari, dai testimoni che hanno lasciato questa terra è solo «lo spessore dell’Eucaristia». Ce l’hanno insegnato i nostri pastori. Ecco perché non c’è giorno che io non preghi per loro.

Fonte: Mons. Padovese, martire.

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