Mons. Paglia e le coppie gay: molto rumore per nulla oppure no?

di Marco Mancini

Confesso che ieri, leggendo la notizia su Repubblica.it – è uno dei primi siti che apro la mattina, tanto per rovinarmi la giornata – ho avuto un colpo al cuore. “La Chiesa apre ai diritti delle coppie gay”, era più o meno il titolo. Scorrendo l’articolo, si poteva avere contezza del fatto che Sua Eccellenza Vincenzo Paglia, nuovo presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, si sarebbe detto disponibile al riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto, pur ribadendo la contrarietà della Chiesa Cattolica al matrimonio omosessuale.
Dopo aver strabuzzato gli occhi, mi sono messo alla ricerca di diverse versioni delle dichiarazioni del presule – non solo su “Repubblica”, ma anche su “Avvenire”, “Libero” e “La Stampa” –, ho individuato i vari virgolettati per ricostruire con maggiore precisione le sue parole e mi sono un po’ tranquillizzato. Mons. Paglia parla infatti della possibilità di concedere talune tutele, specie di natura patrimoniale, attraverso soluzioni di diritto privato. Già negli anni passati, ai tempi della discussione sui DICO, la Chiesa non si era opposta a una soluzione del genere, caldeggiata anche da Berlusconi qualche settimana fa. Nessuna forma di riconoscimento pubblico, insomma; nessuna unione civile, PACS o modello alla tedesca (come quello invocato dal PD) che dir si voglia. Tutto è bene quel che finisce bene, verrebbe da dire.
Le dichiarazioni di Mons. Paglia lasciano tuttavia un retrogusto amaro. Rischiano, infatti, di prestarsi ad equivoci, come è effettivamente accaduto. In particolare, lascia un po’ stupiti che il nuovo “ministro” vaticano per la Famiglia, alla sua prima uscita, non abbia messo in guardia fino in fondo contro la liquidità (per dirla con Bauman) di certe “convivenze non famigliari”, ma si sia limitato, invece, a registrarne la “molteplicità” e anzi a ritenere, a questo proposito, che sia “ovvio […] e bene garantire i diritti individuali”. Di più: si tratta addirittura di “un terreno che la politica deve cominciare a percorrere tranquillamente”. Un conto è, caro mons. Paglia, tollerare che vi siano alcune facilitazioni di carattere privatistico per i conviventi; un altro conto è auspicare e incoraggiare tali facilitazioni, di fatto legittimando anche relazioni che, dal punto di vista della dottrina cattolica, in nessun modo possono essere approvate. Sarebbe come se, da parte della Chiesa, si promuovesse la diffusione dei contraccettivi: certo non li si può mettere fuori legge, ma farne addirittura l’apologia apparirebbe piuttosto fuori luogo.
Ugualmente suicida è l’enfasi sul tema del matrimonio gay: in Italia, come in diversi altri Paesi, la posta in gioco non è ancora quella. Si discute, invece, di forme diverse di riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali. Che si chiamino “matrimonio” o “pincopallino”, però, poco cambia: come spiegato dalla Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede del 3 giugno 2003, va respinto al mittente qualsiasi tentativo di creare un nuovo istituto giuridico di diritto pubblico che regolamenti tali unioni. Viene da rimpiangere la chiarezza di linguaggio del cardinal Ruini, che motivò l’opposizione della CEI a PACS et similia definendo questi ultimi una sorta di “piccolo matrimonio”, da rifiutare indipendentemente dalle disquisizioni lessicali.

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